Asif Kapadia E Joe Sabia

Documentario

Asif Kapadia E Joe Sabia Federer: Twelve Final Days


2024 » RECENSIONE | Documentario | Azione
Con Roger Federer



25/06/2024 di Valerio Corbetta
Chiariamo subito: Federer: Twelve Final Days non è un docufilm sul tennis. E neppure sulla carriera di quello che è considerato da molti il più grande tennista mai esistito; o quantomeno quello che meglio ha saputo coniugare estetica e praticità nel gioco durante l’era open. Non ci sono passaggi tecnici, giocate spettacolari, spezzoni di partite, colpi a effetto, racconti delle innumerevoli vittorie o delle meno frequenti sconfitte.

Twelve Final Days”, da pochi giorni sulla piattaforma Prime, è la vivisezione, a ritmo piuttosto lento e a volte ripetitivo, dei giorni trascorsi dall’annuncio del ritiro dal tennis giocato da parte di Roger Federer, alla sua ultima partita ufficiale a Londra, nel settembre del 2022. Scopre il lato meno pubblico di un personaggio tra i più iconici dello sport moderno, sospeso tra il mito dei risultati ottenuti sui campi di ogni superficie e la classe cristallina che li ha resi irripetibili: ci racconta quanto sia difficile capire e decidere che il momento di cambiare vita è arrivato e non è più prorogabile, spesso col tuo corpo che spinge in quella direzione, visti i sempre più pesanti acciacchi, legati ai problemi alle articolazioni, usurate da milioni di torsioni, stop improvvisi e sollecitazioni senza sosta.

Compaiono i dubbi, le paure, l’ignoto che rende nebuloso un futuro tutto da scrivere, dopo che per tutta la tua vita hai fatto una sola cosa: giocare (meravigliosamente) a tennis, con i ritmi, i sacrifici, la gloria, ma anche le rinunce nei confronti della tua famiglia, degli amici, di un’esistenza che non è mai stata normale e ora, forse, lo dovrà diventare.

Un’ora e quasi tre quarti spesso in soggettiva, moltissimi interni e fotografia minimalista: e su tutto, la voce, il volto e i sentimenti di Federer messi a nudo, l’amore per moglie e figli, per gli amici che l’hanno accompagnato lungo l’arco di un’intera carriera e ancor più in questi ultimi, dodici, lunghissimi giorni. Ma anche, se non soprattutto, il rapporto quasi fraterno con gli avversari di tante battaglie, chi più (Nadal e Djokovic) chi meno (Murray e le giovani leve), commossi fino alle lacrime. Che giungono copiose e catartiche a giochi fatti e coinvolgono l’intera O2 Arena di Londra, dove il tennista svizzero chiude un’avventura meravigliosa con una sconfitta in doppio nella Laver Cup. E oltrepassano lo schermo per toccare anche chi ha seguito il film da semplice osservatore, pure se non è tifoso o appassionato di tennis. Perché Federer va oltre il suo sport: il suo cristallino rovescio a una mano, la sua classe innata nella tecnica e nel (com)portamento, quella signorilità che lo ha reso un esempio che va ben oltre gli Slam, le Davis e le decine di tornei conquistati. Magari numericamente meno degli altri Fab-Three, ma nessun altro mai con la sua eleganza composta. Anche nell’addio.