Abbas Kiarostami

Drammatico

Abbas Kiarostami Il sapore della ciliegia


1997 » RECENSIONE | Drammatico | Drammatico
Con Homāyun EršÄdi, Abdelrahman Bāqiri, Afšin Khoršid Bākhtari, Safar `Ali Murādi, Mir Hossein Nuri



21/02/2023 di Roberto Codini
“Il sapore della ciliegia”  tra realismo e poesia - Il cinema essenziale di Abbas Kiarostami

“Cambia il tuo modo di pensare e cambierà il mondo!”

“Non vuoi più sentire il sapore della ciliegia?”

L’essenza di questo meraviglioso film del Maestro Abbas Kiarostami (scomparso nel 2016) è in queste due frasi tratte dal monologo sul suicidio del signor Bagheri, uno dei protagonisti del film.

Siamo nella periferia sterrata e polverosa di Teheran e il signor Badii (è benestante, guida un SUV, anche se non sappiamo che lavoro faccia), che apparentemente sembra sereno, si aggira in macchina per le strade tortuose della sterminata collina iraniana alla ricerca di qualcuno che svolga, dietro compenso, un servizio per lui. Sta cercando qualcuno che gli scavi la fossa.

Il signor Badii vuole andarsene via, è stanco della sua vita e vuole morire. Il regista non spiega perchè e forse non è nemmeno importante. Ma questo è il desiderio di Badii. Lui vuole stendersi in una fossa al calar del sole e addormentarsi per sempre mentre la luna è alta in cielo, ricoperto dalla sua terra nella quale vuole fare ritorno.

Il protagonista gira in lungo e in largo percorrendo le strade impervie alla ricerca di un volontario ma nessuno è disposto a compiere questo gesto estremo.

C’è un militare, uno studente di teologia, sull’automobile di Badii salgono diverse persone e tra di esse anche il dipendente di un museo, il signor Bagheri (stesso nome dell’attore che lo interpreta), che tenta di dissuadere Badii dall’insano proposito, cominciando con il racconto di una storiella: un turco va dal dottore e si lamenta: “dottore, se mi tocco la testa mi fa male, se mi tocco il braccio mi fa male, se mi tocco la gamba mi fa male…” e il dottore gli dice: “lei ha il dito rotto! Il resto del corpo sta bene!”

Bagheri dice a Badii che il suo problema è nella testa, lui deve cambiare il modo di pensare, deve cambiare la sua visione del mondo.

Poi gli racconta un episodio personale: aveva deciso di suicidarsi anche lui, poi era salito su un albero di gelsi e aveva assaggiato un frutto. Un gelso. Era buonissimo. Era salvo per merito di un gelso. (Il titolo del film doveva essere originariamente “Il sapore del gelso”).

E Bagheri prosegue con il suo monologo, chiedendo a Badii: “Non vuoi più sentire il sapore della ciliegia?”

Il monologo di Bagheri rappresenta la parte essenziale di un film girato interamente nell’abitacolo della macchina del protagonista, con un sapiente alternarsi di riprese esterne della macchina che percorre le strade polverose di Teheran e dei dialoghi all’interno dell’automobile.

Nonostante il rifiuto dei passeggeri e gli ammonimenti di Bagheri, il protagonista è determinato nella sua decisione e alla fine troverà qualcuno che gli scavi la fossa e così Badii si addormenterà nella sua ultima dimora.

Il regista, a causa del tema trattato (il suicidio è un argomento vietato in Iran) è stato costretto, alla fine del film, ad aggiungere alcune scene nelle quali si vede chiaramente la troupe, il protagonista che si alza a parlare con loro, perchè deve essere chiaro che è un film, una finzione, che nessuno si è suicidato.

 

https://www.youtube.com/watch?v=-6L-5NX2lPI&t=22s


Kiarostami, maestro del cinema iraniano insieme a Mohsen Mahkmalbaf e che aveva tra i suoi allievi Jafar Panahi, il regista, autore del bellissimo “Il palloncino bianco”, arrestato e poi liberato e che ha diretto in regime detentivo il bellissimo “Gli orsi non esistono”, premiato a Venezia, si può annoverare tra i neorealisti. Lui stesso ha più volte dichiarato di amare il cinema di Rossellini e, aneddoto divertente, di aver incontrato una volta, Bernardo Bertolucci. In Italia fu Nanni Moretti a proiettare nel suo cinema di Trastevere, il Nuovo Sacher, “Close-up”, film che, a causa del basso afflusso di pubblico, spinse Moretti a realizzare il divertente cortometraggio “Il giorno della prima di Close-up”, nel quale immaginava di convincere gli spettatori a venire a vedere il film: “c’è abbastanza parcheggio…” “Che tramezzini abbiamo?” “Se proprio non ce la fanno dopo i primi dieci minuti gli rimborsiamo il biglietto!”

Kiarostami appartiene a quello che potremmo definire “vecchio cinema iraniano”, contrapposto al “nuovo cinema iraniano” del bravissimo Ashgar Fahradi, il regista di “About Elly” e “Il cliente”. Kiarostami non è un regista minimalista, ma un maestro dell’essenziale, un grandissimo cineasta che usa magistralmente la macchina fissa e i campi lunghi e che riesce a raccontare una storia mescolando realismo e poesia.

A partire dalla trilogia “Dov’è la casa del mio amico?”, “E la vita continua” e “Sotto gli ulivi”, fino a “Il sapore della ciliegia”, Palma d’oro a Cannes nel 1997 e indiscusso capolavoro, Kiarostami ci ha raccontato l’Iran delle donne, degli uomini, dei volti, della gentilezza (“Dio benedica la sua mano!” è una frase ricorrente), che sottintendono un regime che lui non ci mostra mai ma presuppone per dedicarsi a ciò che può essere una salvezza, l’arte, il cinema come terapia dell’assurdo e come inno alla vita che, nonostante tutto, “continua”.

Il cinema di Abbas Kiarostami, soprattutto se rivisto oggi, è un cinema meraviglioso e necessario, poetico e soprattutto umano.