Pedro Almodovar

Drammatico

Pedro Almodovar The Human Voice


2020 » RECENSIONE | Drammatico
Con Tilda Swinton, Agustín Almodóvar, Miguel Almodóvar, Pablo Almodóvar, Diego Pajuelo



18/05/2021 di Silvia Morganti
Avete mai desiderato andare in quei ferramenta con grande esposizione di ogni arnese possibile, per goderne anche solo della visione e uscirne magari con un cacciavite o una manciata di chiodini?  Voi che non vi dedicate al bricolage -come me- avete mai provato la forte sensazione di entrare in quel tipo di negozi, anche se sapete che non sono lì per voi? Ecco, che sia così o non lo sia, Almodóvar riesce a mostrarci il nostro desiderio (implicito o esplicito che sia) in maniera strabiliante.

Siamo solo ai titoli d’apertura, quando gli arnesi si trasformano in lettere e le lettere compongono parole e lo spettacolo può avere inizio, su fondo verde smeraldo! (Per chiudere poi perfettamente uguale alla fine con i titoli di coda).

Dopo la chiusura delle sale cinematografiche per pandemia; dopo che il buio è entrato ad albergare nella vita umana; dopo che tutti si pensa in maniera ‘ridotta’, secondo le dimensioni casalinghe della visione…  accade che si possa tornare al cinema -esattamente dal 26 aprile- igienizzati, mascherati e ben distanziati, ma felici! Accade così che sul grande schermo tornino volti illuminati perfettamente di nove metri per tre, che i colori sgargianti tornino a ficcarsi negli occhi lucidi come smalti, che i particolari parlino a te che stai guardando da metri di distanza, seduto comodamente su una poltroncina di velluto raso nel silenzio riempito solo dalla musica e dalla voce umana che proviene da quello stesso schermo: accade così che un film sembra essere un dono per l’umanità intera. Almodóvar  gira un piccolo (di soli trenta minuti) capolavoro con protagonista Tilda Swinton e per la prima volta sceglie l’inglese come lingua. L’ispirazione è presa da un classico in francese di Jean Cocteau del 1930 già ripreso e interpretato tante volte su pellicola e in teatro, La voix humaine. Ma non ci sono confronti da fare: ognuno ridipinge il testo a suo modo e Almodóvar lo fa con il suo estro.

Come si fa a parlare di un film da vedere, da guardare, da osservare? Vi dovrei mostrare immagini, scene, movimenti e cambi di luce per farvi capire, ma soprattutto dovrei far in modo che voi decidiate di prenotare al più presto un posto in sala per andarlo a guardare con i vostri occhi! Dovete andare… Vi pagherei il biglietto di mia tasca, se potessi… ma in fondo non è un gran costo, eppure il prezzo che pagherete non è commensurabile al valore di ciò che vi verrà mostrato. Inoltre non cercatelo su piattaforma, in streaming o piratato perché allora sarà tutto inutile. Lo dico per voi!

 Non vi ho convinto ancora? Allora sentite qui!

Tilda Swinton veste abiti di una bellezza senza eguali… c’è un inizio in abito rosso con gonna a forma di tazza di porcellana rossa larga rovesciata che impressiona, su fondo grigio di quinte da teatro, dietro una lavagna di vetro opaco che già così ti parla più di mille parole nel silenzio di una scena magistrale, accompagnata da note d’archi. Swinton cammina lenta sul fondo di un teatro di posa, fino a sedersi su uno sgabello… la MDP riprende allora il solo volto della donna leggermente voltato a sinistra, con un taglio di luce che le illumina trasversalmente solo la parte destra… tutto può allora avere inizio (o fine?). Dove sono i pensieri della donna? Dove abitano e con chi?

La storia è quella di una donna innamorata che deve dare l’addio al suo amore riconsegnandogli le valigie piene dei suoi oggetti, comprese le lettere d’amore tra loro scambiate. C’è un cagnolino che annusa in ogni angolo della ‘casa’ alla ricerca anche lui di chi non c’è più: un abito scuro maschile ben disteso sulla parte sinistra del letto matrimoniale sta a testimoniare un lutto che occorre consumare, inutile infierire su di esso con un’ascia nuova fiammante! L’Altro, l’Amato, si palesa solo nella suoneria di un telefono cellulare, è distante, la linea è disturbata, non c’è scampo. Le parole scorrono piane, poi trovano picchi, si assottigliano e si ingigantiscono a seconda del caso, ma sono solo quelle pronunciate dalla voce femminile. Intanto i colori di una casa ricostruita dentro un teatro di posa giocano un ruolo fondamentale, così come le riprese (dall’alto, centrali, in primo piano). Basta aprire un’anta di un armadio o guardare le opere appese alle pareti per capire che Almodóvar  sa cosa fa: calcola tutto in una concentrazione di citazionismo che incanta, così come il volto della Swinton su cui si adombra il dolore del desiderio di ciò che non sarà, ma anche la forza di alcune decisioni che ardono dentro (e fuori) e apparecchiano un finale straordinario (diverso da tutti i Cocteau fin qui rivisitati), semplicemente incantevole e intelligente.

The Human Voice sembra dirci che il cinema esiste ancora, che è lì per noi, che le immagini in movimento vanno viste nei luoghi deputati a trasmetterle, le sale, e che la “settima arte” non si è fermata neanche durante il lockdown, in cui il cineasta ha deciso di girare, seguendo forse un’urgenza e una necessità che si sono trasformate anche in tributo a tutte le arti, con un buon carico di emozioni: in particolare l’occhio si sofferma su un tavolo basso su cui sembrano trovare posto le ore trascorse nell’attesa, vi sono sopra i dvd di film (come Il filo nascosto che colpisce!), libri di letteratura e poesia. Tutto è come un rimando incrociato, anche le librerie e i quadri alle pareti citano Ingrid Bergman, De Chirico, Tina Modotti e molti altri.  Forse qualcuno potrebbe notare una certa ricerca di bellezza a tutti i costi, eppure prevale comunque l’umanità, l’amore e il suo desiderio, che negli occhi di Tilda Swinton nelle sapienti mani di Pedro Almodóvar sembrano trovare casa…  


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