Libia: la guerra degli altri

Libia: la guerra degli altri

08/06/2020 di Luigi Lusenti

E' una delle tante questioni internazionali "aperte", in questo caso sui confini sud dell'Europa, in cui l'Unione Europea è ormai "ceca, sorda e muta".

Un rapporto compilato il 20 maggio dall'European Council on Foreign Relations titolava: "It’s Turkey’s Libya now". Sarà forse per questo che 6 Mig 29, 2 Sukhoi Su-24 e probabilmente 2 caccia Sukhoi Su-3 si sono fatti vedere prima in Cirenaica e poi nel Fezzan. Seppur il Consiglio federale della Russia (la Camera alta del parlamento russo) abbia negato la presenza di aerei militari di Mosca in Libia il comando degli Stati Uniti per le operazioni in Africa (AFRICOM) ha invece diffuso foto a conferma di un coinvolgimento diretto di Putin nel sostegno al generale libico Khalifa Haftar e a un confronto duro con Erdogan, anche lui impegnato per interposta persona (Fāyez Muṣṭafā al-Sarrāj Primo ministro del Governo di Accordo Nazionale) nella guerra infinita libica.

E' una delle tante questioni internazionali "aperte", in questo caso sui confini sud dell'Europa, in cui l'Unione Europea è ormai "ceca, sorda e muta".

Una delle prime vittime del CV19 pare essere, per Bruxelles, la politica estera.

Chi più ricorda la missione europea che risponde al nome di "Irini" come una antica divinità della pace ellenica e che dovrebbe far rispettare l’embargo di armi verso la Libia, monitorare il traffico illegale di petrolio da quel paese e altre forme di contrabbando. Non ultima la missione avrebbe anche il compito di contrastare il traffico di esseri umani. La missione è affidata all'ammiraglio Fabio Agostini da un ammiraglio francese. Sette inizialmente i paesi coinvolti: Francia, Germania, Grecia Italia Lussemburgo, Malta e Polonia.

Partita il 4 maggio, la missione si è arenata per l'uscita, l'otto maggio, di Malta. Sulla stessa missione si è abbattuto un tweet del ministro dell'interno libico Fathi Bishaga che l'ha criticata fortemente perché vigilando solo dal mare lascerebbe liberi i rifornimenti via terra e via aria.

Il quotidiano indipendente EUObserver, mettendo in fila tutte le critiche piovute sulla missione dall'interno dello stesso schieramento europeo, ha proposto di cambiare il nome in "Eris", sempre una dea greca ma della discordia.

Parallelamente al "naufragio" europeo avanza la guerra per procura. Secondo il New York Times, nella riconquista da parte del governo di Tripoli della base di Al-Watiya ha avuto un ruolo fondamentale l'artiglieria turca che avrebbe schiantato le batterie russe di difesa. Forse per quello il presidente russo Putin ha deciso di "mostrare i suoi gioielli aerei"

Ma se la diplomazia europea "delle feluche" si scioglie come neve al sole nel panorama libico, gli "affari" per molti paesi europei paiono invece rendere bene. Dopo la conferenza di Berlino dello scorso gennaio che ha imposto l'embargo, la Germania ha venduto armi ai paesi coinvolti nella guerra in Libia per 331 milioni di dollari.

Il nostro paese non è da meno. Secondo il magazine "Analisi difesa", sempre ben informato sulle commesse militari, Il Cairo è interessato a rilevare al più presto per 1,2 miliardi di euro la nona e la decima Fremm realizzate da Fincantieri per la Marina Militare Italiana, le fregate multiruolo Spartaco Schergat ed Emilio Bianchi. Un bel tesoretto che fa gola al governo Conte. E il Cairo "tifa manu militare" per l'uomo forte della Cirenaica.

Ovviamente, la cecità europea sul conflitto libico non evita ai suoi esponenti di alto livello di esprimersi con tono enfatici.

L'Alto rappresentante dell'Unione europea per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, nel suo intervento alla conferenza annuale degli ambasciatori tedeschi ha infatti affermato: "La Libia è la prova della credibilità dell'Unione europea, a portata di mano. La Germania ha svolto un lavoro eccellente nell'ambito del processo di Berlino per la Libia, dimostrando la propria leadership e allo stesso tempo 'pensando all'Europa', associando l'Ue e tutti gli Stati membri al processo. Questo è un modello per come la politica estera europea può e deve essere costruita".

Peccato che sul terreno i governi europei, che Josep Borrell rappresenterebbe, vadano non solo in ordine sparso. O meglio Francia, e ultimamente Grecia, col generalone della Cirenaica, mentre altri paesi, fra cui l'Italia sempre più dubbiosa, sostengano il governo di Tripoli. Davvero una strana politica di leadership.