Intervista ad Isabella Amaduzzi

Intervista ad Isabella Amaduzzi

12/04/2021 di Luigi Lusenti

Nel novembre del 2019, durante una serie di eventi tenutisi a Milano in occasione dei trenta anni della caduta del Muro di Berlino, Isabella Amaduzzi ha tenuto una lezione sul design della DDR e ha curato una piccola selezione di oggetti e pubblicazioni provenienti dalla Germania dell'Est. A distanza di un anno e mezzo abbiamo voluto con lei ripercorrere alcune tappe della recente storia europea.

D: Quali studi ha fatto sul tema della DDR? Quali sono le sue competenze in merito?

Il mio interesse per la storia della Germania dell'Est è nato in tempi relativamente recenti ma, in famiglia sentivo spesso parlare della DDR da mio padre che, per lavoro, si recava spesso a Lipsia. Lui mi raccontava della Germania dell'Est e mi portava dei libri per bambini prodotti laggiù. Quindi, forse un po' per caso, sono sempre stata a conoscenza dell'esistenza di "un'altra" Germania. Poi, alla fine degli anni Ottanta, al liceo, avendo studiato tedesco ed essendo quelli gli anni della crisi della Germania dell'Est, la passione è cresciuta. L'Europa intera, in quegli anni, stava cambiando, i nostri professori usavano l'attualità della crisi tedesca e il crollo del blocco orientale come argomento su cui farci lavorare. E quando il Muro è caduto siamo tutti partiti per la nuova Berlino. Ho poi per alcuni anni lavorato in estate in Germania e ho per esempio vissuto il 3 ottobre del 1990 a Francoforte. Infine, una decina di anni fa, ho avuto la possibilità di vivere un anno a Lipsia. Qui, la mia mania per i mercatini delle pulci e un pizzico di fortuna hanno riaperto la porta verso la riscoperta del design del blocco orientale. I racconti di ex cittadini della DDR come anche una grande mostra tenutasi a Londra dedicata al Cold War Design mi hanno definitivamente aperto gli occhi su un grande vuoto che regnava e ancora oggi regna nei manuali di storia del design: manca di fatto un capitolo degno di nota dedicato al design del blocco orientale. All'epoca insegnavo storia del disegno industriale al Politecnico di Milano e proprio in quegli anni ho avuto modo di fare ricerca su design della DDR e ho avuto la possibilità di tenere corsi monografici sull'argomento. La storia degli oggetti mi ha sempre affascinato. Sono partita da lì per arrivare a pormi domande sull'unificazione tedesca del 1871, sulla questione nazionale e su quella specie di nostalgia che oggi pare prendere molti per un passato di luci e di ombre, come è quello della Germania Democratica. Si tratta di domande che si pongono in molti anche oggi in Germania. Ormai vivo da otto anni in Germania, nel profondo Ovest, nel Bacino della Ruhr e vedo che sono ancora in atto cambiamenti in quei Länder che da trenta anni sono ormai parte di un paese unificato e ancora oggi ci sono tante domande che attendono una risposta.

 

D: Lei conosce anche il tedesco, ha quindi la possibilità di accedere ai documenti in lingua?

Sì ho una fortuna non indifferente. Leggere i giornali, parlare con le persone, poterle intervistare. Capire cosa sono stai questi 30 anni di unificazione, cosa significa essere tedeschi oggi, se esiste o meno un sentimento nazionale, quali sono i limiti della parola unificazione. E cosa è rimasto della Germania dell’Est e perchè no anche cosa è rimasto della Germania dell'Ovest.

 

D: Moltissime nazioni sono sorte e sparite nei secoli scorsi. La storia della DDR è un po' diversa: è esistita per un lasso di tempo breve, circa una quarantina di anni ma, soprattutto, non nasce da dispute geografiche ma per una forte identità ideologica, identità che l'ha caratterizzata fino alla sua estinzione.

Certo la DDR è un paese che ha avuto una vita breve ma intensa. Quarant'anni durante i quali sono cambiati radicalmente gli equilibri mondiali. Quaranta anni di Guerra Fredda. E comunque non erano ideologici solo i dirigenti della DDR, anche gli stessi leader della Germania Federale erano ortodossi nella loro ideologia.


D: La cancelliera Merkel, originaria della Germania dell'Est, disse che la DDR era un non stato in quanto non "possedeva" un suo genius loci.

Se non sbaglio la Merkel disse che "La Germania dell'Est era uno stato senza diritto." Diceva che essendo stato fondato con questo limite non poteva vivere senza bugie e paure. L' interpretazione di quella frase è: "Le bugie, le menzogne, le paure sono quelle che hanno permesso di sopravvivere alla Germania dell'Est".

Più mi addentro nella storia della DDR e della Germania unita in generale sono sempre più titubante di fronte a queste frasi che vengono dette dai politici a consumo del consenso di chi li ascolta, condizionate molte volte dal contesto in cui vengono pronunciate. A onor del vero, Angela Merkel non ha mai nascosto di essere originaria della Germania dell'Est anche se, come molti cittadini dell'est, non ne parla molto. Comunque credo sia innegabile dire che la Germania dell'Est sia stato un paese non democratico, una dittatura che ha costruito un muro e impedito ai suoi cittadini di viaggiare liberamente e avere contatti con l'Occidente. Questo però non giustifica la cancellazione della sua storia e soprattutto la cancellazione della “piccola” storia e vita quotidiana di quasi 18 milioni di persone che hanno vissuto, hanno studiato e si sono formati in 40 anni nella DDR.

 

D: Queste sue parole mi permettono di porle un'altra domanda. Lei ha giustamente interpretato la frase della cancelliera tedesca. Ora io le chiedo, oltre allo stato di diritto, quali sono le altre componenti che caratterizzano una identità nazionale?

Quella linguistica, quella storica. E su questo terreno la DDR è parte integrante della grande famiglia della cultura mitteleuropea. Resta ancora oggi aperta la questione se l'unificazione tedesca abbia dato una risposta alla Deutsche Frage, alla questione tedesca. Probabilmente la Wiedervereinigung ha confermato la teoria che la questione tedesca non è e non è mai stato solo un problema solo tedesco quanto una problematica europea. Parlare di identità nazionale in Germania, prima e dopo la Caduta del Muro è come muoversi sulle sabbie mobili. La parola nazione, come anche quello di identità nazionale sono in Germania se non tabù ma temi ancora segnati da quaranta anni di separazione e ancor prima dal nazionalsocialismo. Casomai una domanda potrebbe essere cosa è rimasto di quella Germania oltre il muro seppur nel solco dell'unità tedesca. Non c'è solo una generazione di tedeschi dell'Est, ce ne sono tante: c'è chi credeva nell'utopia, chi ha lottato e lavorato in quegli anni, chi ha fatto solo pochi anni di scuola e poi è stato catapultato nel nuovo sistema senza sapere come e perchè. C'è chi ha vissuto buona parte della propria vita al di là del muro di Berlino e chi era ragazzino nei giorni della caduta del muro e che ha comunque sfiorato quel sistema, quella cultura, quei valori. E chi aveva due anni quando le Germanie si sono unite e si sente più europeo che tedesco.

Comunque quando domando alle persone, per esempio a miei coetanei, che cosa ricordino della DDR la maggior parte mi dice un'infanzia felice, serena. A volte la paragonano a cosa vivono oggi e non sempre il presente ne esce vincente. D’altra parte l'unificazione è stata per molti aspetti un inglobamento della parte orientale da parte di quella occidentale. La parte orientale è stata valutata, smembrata e buona parte dei cittadini orientali ha dovuto adattarsi al nuovo sistema, non di certo il contrario. Faccio solo un esempio: certi cambiamenti che possono sembrare marginali invece, alla lunga, segnano. Proviamo ad immedesimarci: la mia scuola si chiamava Karl Marx e la strada per arrivarci si chiama Leninalle. Tutti i giorni faccio questa strada; è il mio mondo, la mia sicurezza. Nel giro di pochi mesi quella strada non si è chiamata più così e quella scuola ha improvvisamente cambiato nome e ho tutti nuovi libri e nuovi insegnanti. Proviamo a pensare per un ragazzino di 8 o 10 anni che cosa possa significare tutto questo. Vuol dire doversi mettersi in discussione su tanti piani diversi. Rivedere le certezze con le quali cresciamo fin dall’adolescenza. Pensiamo cosa è successo a persone che avevano 30 anni o più quando è caduto il muro. Questi cittadini si sono "riprogrammati". I confini si cambiano per decreto, ma il travaglio interiore ha tempi più lunghi e imprevedibili. Perfino nella lingua, che pure è la stessa, alcune sfumature persistono e i tedeschi da una parte e dall'altra hanno dovuto adeguarsi.

 

D; Le "due" lingue si sono fuse oppure c'è stata una annessione di una lingua sull'altra?

Possiamo dire che la lingua politica ideologica, di propaganda della parte orientale è scomparsa e quasi dimenticata. La lingua quotidiana, più neutra dal punto di vista politico, presenta ancora delle differenze che sono un po’ il marchio di fabbrica con i quali vengono riconosciuti i cittadini dell'est. A volte ne vanno anche orgogliosi. La lingua rappresenta la tua storia, il tuo mondo, la tua cultura che non necessariamente deve essere omologata. Volevo poi fare un altro esempio. Se un ragazzo nella Germania dell'est aveva dei genitori laureati non poteva accedere all'università. La motivazione era di non voler creare una elite intellettuale. L'unificazione ha spazzato via queste disposizioni concedendo quindi anche altri tipi di libertà.

 

D: Quarant'anni rappresentano quasi due generazioni. È giusto dire che c'è una parte di paese che ha perso una parte della sua storia? Senza entrare nel merito se fosse una identità giusta o una identità sbagliata.

Credo che molti cerchino di non perderla, specialmente quelli che hanno avuto questa sensazione di smarrimento nel cambiamento. Inizialmente ha prevalso l'euforia, poi ci si è scontrati con la realtà. Credo che a distanza di circa trent'anni molti cerchino di non far cadere nell'oblio una parte della loro vita. E lo facciano in diverse maniere. È uscito in occasione del 30esimo anniversario dell'unità tedesca un articolo che diceva all'incirca che non è che l'unità della Germania rappresenti per forza anche una unità di intenti. Sono un paese unito ma rimangono pacificamente divisi. Evidentemente trent'anni, che rappresentano una generazione, non bastano a cancellare né a superare quelle che erano le storie di due paesi.

 


D. Possiamo quindi dire che si è costruita una cultura in senso lato in questi quarant'anni nella DDR?

Non vedo le ragioni per non dirlo. E a mio parere dovremmo garantire anche a questa cultura uno spazio nei libri di storia. Ovviamente parlo più del design che è l'argomento di cui mi sono occupata per anni. Il design della DDR ha avuto un ruolo e una sua dignità. La cultura del progetto della ex Germania dell'Est si presta bene come “caso studio” ai più sconosciuto dove poter prima di tutto scoprire alcuni progetti che per quasi mezzo secolo sono stati “dimenticati” dai manuali e dalle ricerche storiche, in seconda battuta è utile per ribadire prospettive del design ancora oggi attuali quali la formazione della professione del designer, i rapporti tra design e le altre discipline come l'architettura, la grafica e la comunicazione, un'occasione soprattutto per ricordarsi di questioni quali la valenza emozionale degli oggetti d'uso, il rapporto tra il progettista e l'industria, tra individuo e società e non in un ultimo – anche per i non addetti ai lavori - la dimensione feticistica dell'oggetto che tanto ruolo ha nella percezione del design di oggi. La generazione dei designer della Germania dell'Est erano figli del Bauhaus E come accettiamo l'eredità del Bauhaus nella architettura americana perché non accettarlo quando è ben presente nella produzione industriale della Germania dell'Est? Le radici del design tedesco erano comuni. Una grossa differenza stava nel fatto che non essendoci nella Germania Orientale la proprietà privata i progetti ovviamente diventavano subito di proprietà statale. Il nome del designer non veniva mai citato. Spesso i progetti non venivano neanche firmati. Oggi però noi siamo in grado di ricostruire i percorsi culturali e le fasi di realizzazione di quei prodotti e quindi possiamo restituire a quei progettisti il loro lavoro e la loro ricerca. Studiando il design della Germania dell'Est, come anche di tanti paesi del blocco sovietico, possiamo capire meglio qual è la nostra posizione nei confronti del design. Alle volte guardando il, lavoro degli altri, possiamo vedere meglio il nostro. Ad esempio, mi sono accorta di quanto in Occidente l'oggetto di design sia strettamente legato al nome di chi l'ha ideato: Philippe Starck, Bruno Munari o Marco Zanuso. Tutti noi parliamo così quando guardiamo gli oggetti di design dandogli quasi un valore maggiore in base al nome del progettista. Invece nella DDR era l'oggetto che parlava innanzitutto, la sua forma, la sua funzione e il materiale.


D: Nella lezione che lei a tenuto a Milano nel novembre del '19 fece degli esempi concreti di come molti prodotti della DDR siano stati alla base di oggetti utilizzato da noi, qua all'Ovest:
Si. E' risaputo che durante negli anni più bui dell'economia della Germania dell'Est, diciamo quindi dopo la costruzione del muro, alcuni degli oggetti che venivano prodotti nella Germania dell'Est venivano venduti sul mercato occidentale ma con altri nomi. Questo serviva per ottenere valuta forte Ci sono anche storie di oggetti di produzione della Germania dell'Est che hanno chiaramente un'unica matrice che è chiaramente il Bauhaus. Scorrendo la storia della cultura del progetto dell'immediato dopoguerra fino agli anni Ottanta nella DDR possiamo notare una continuità poetica e formale con la lezione del Bauhaus. La scuola di Gropius era nata e si era sviluppata tra il 1919 e il 1933 tra Weimar, Dessau e Berlino, città che dopo la seconda Guerra Mondiale erano parte del territorio della ex Germania dell'Est. La lezione di Gropius e allievi segnata dall'abolizione della distinzione tra arti belle e arti applicate, dallo stretto e indissolubile legame tra forma e funzione e dall'abbandono degli storicismi ed eclettismi non ebbe vita comunque facile nella Germania dell'Est.

La lezione del Bauhaus venne portata avanti da personalità come quelle di Mart Stam, e Marianne Brandt. Proprio Stam e la Brandt furono i maestri di Margarete Jahny che progettò nel 1951 come lavoro di tesi un servizio da té che “tradisce” con la sua purezza e con il nitore le radici del Bauhaus e che purtroppo non trovò una produzione seriale. La Gute Form era la sua poetica e riuscì a farla penetrare nella società, nelle case, nei restaurant e nella vita di tutti i giorni. Basti pensare al celeberrimo servizio in porcellana realizzato in collaborazione con Erich Mueller che venne usato dalla Mitropa, la ditta di catering delle ferrovie della Germania orientale. Ad una prima vista il servizio Rationell della Jahny ricorda quello di Hans Albrecht Roericht, allievo della Scuola di Ulm ed entrato in produzione agli inizi degli anni Sessanta con il nome di TC 100. L'eredità del Bauhaus varca confini incurante dei muri e delle linee politiche. Tutto questo in contrasto con le direttive del partito. La posizione del SED era politica e militante; il partito combatteva il funzionalismo sia nell'arte sia nell'architettura. Il capitalismo, di cui il funzionalismo ne era un volto, doveva essere osteggiato e combattuto; i progettisti secondo i dirigenti di partito della DDR dovevano lottare contro il cosmopolitismo, contro tutto ciò che era nemico del popolo o lontano da esso e contro quel “formalismo” che caratterizzava l'arte e il progetto occidentale. Il Bauhaus e la sua lezione si trovò nuovamente bandito ma questa volta dal partito opposto. Il giornale di partito Neues Deutschland osannava dalle sue colonne il ritorno alle tradizioni nazionali auspicando un eclettismo, anacronistico e si opponeva alle eredità del Bauhaus e della Werkbund. Ma nelle due Germanie esistevano due progetti gemelli, nati dalla stessa scuola.


D: Lei ha pronunciato prima il termine nostalgia che è un termine che si usa molto anche nei Balcani ad esempio per una serie di operazioni a volte semplicemente di revival dal punto di vista commerciale. Cosa intendeva con nostalgia?

Forse si è sentito male io in realtà volevo dire Ostalgie. È il termine usato per definire una forma di nostalgia che alcuni provano per quello che fu la Germania dell'est. La parola Ostalgie ha fatto la sua comparsa ufficiale nella lingua tedesca nel 1993 per definire il rimpianto del mondo e del tempo racchiusi in una nozione di Ost che continua ad esistere nella percezione, nei comportamenti e nell'immaginario collettivo nonostante la sua cancellazione dall'atlante geografico. Gli studi storici ci hanno indicato che nell'Ostalgie sono individuabili tre momenti: un primo di iniziale euforia all'indomani della caduta del muro e di eliminazione fisica di quanto aveva fino ad ora popolato la vita quotidiana e di sostituire il vecchio con il nuovo. A questa seguì una seconda caratterizzata dalla disillusione causata dal divario tra est e ovest e una terza e ultima fase da leggere come rivendicazione identitaria da una parte di paese che si sente colonizzato dal sistema capitalista. In Germania ci sono in atto delle operazioni di marketing quindi di sfruttamento puramente commerciale di questo sentimento come anche sono presenti delle devianze pericolose dal punto di vista politico. Il rischio che la Germania dall'Est potesse diventare una specie di marchio di fabbrica c'era e c'è e lo vediamo andando a spasso per Berlino dove Ost è ormai un toccasana turistico. Ben più preoccupanti sono però i sentimenti estremisti che si sono sviluppati in alcune regioni orientali: il crollo demografico, la struttura ancora rurale, la produttività bassa e i salari non equiparabili fanno dei Länder orientali un terreno fertile per il partito di estrema destra e xenofobo come è l'AfD.

 

D: L'ultima domanda riguarda la riunificazione. Lei, in precedenza, ha parlato di molte luci e di molte ombre. Può spiegarci meglio?

Quest'anno correvano i trent'anni della riunificazione della Germania. I programmi erano molteplici ma non si sono potuti svolgere per l'epidemia di COVID19. Credo che sia l'Est sia a Ovest si siano dovuti compiere processi di adeguamento. Dopo l'euforia iniziale, c'è stata la consapevolezza di dover capire che cos'è stava succedendo. In particolare capire chi erano i cittadini dell'Est. Nel lungo processo di riunificazione sono piombare due crisi economiche e la crisi dei migranti. Ma non credo che nessuno neghi che il processo è ancora in corso, in divenire. Resta sempre bello ricordarelo stupore che genero quando mi interesso dei cittadini della ex Germania dell'Est, delle loro storie, dei loro ricordi. Si chiedono che cosa porti una straniera, anche se sono molti anni che vivo in Germania e in Germania mi sento a casa, a fare ricerche e interviste sul tema. Forse, invece proprio perché resto estranea a certe dinamiche posso avere un occhio se non disincantato, ma più sereno su questi temi.