Babbo Natale a Beirut
Père Noël, così si chiama Babbo Natale in francese.Così lo chiamano a Beirut in Libano.Ma quest’anno Père Noël, nel martoriato paese mediorientale, non arriverà.Rimane a Parigi, in quarantena per il CV19.
Il Père Noël della nostra storia si chiama infatti Emmanuel Macron e sarebbe dovuto arrivare a Beirut il 22 di dicembre per la terza visita ufficiale in soli 4 mesi. Ma alla classe dirigente libanese, come afferma l’Arabian Bussines, la mancata venuta di Macron-Noël non è di certo dispiaciuta. D’altronde non c’era bisogno della pur informatissima rivista più venduta nella regione per accorgersi della soddisfazione di molti. E non solo di ministri e parlamentari ma anche dei “Gran Commis” di stato, alla ricerca dell’impunità dopo la devastante esplosione al porto il 4 agosto, alle 17 del pomeriggio. Non ci si aspettava certamente effetti taumaturgici dalla visita del Presidente francese. Né la carota di aiuti consistenti per la ricostruzione, né la minaccia di sanzioni che il l’inquilino dell’Eliseo ha messo sul tavolo nei suoi precedenti viaggi ha sortito qualcosa. Nessun imbarazzo da una classe dirigente davvero vergognosa.
Probabilmente Macron mancherà ai cittadini libanesi, quelli che gli sono stretti attorno, nel suo primo viaggio, il giorno dopo l’esplosione e agli atri, tanti, che per settimane hanno protestato nella centralissima piazza dei Martiri.
Ma ai cittadini libanesi mancheranno soprattutto due cose: un nuovo governo come era stato promesso nei giorni dopo il dramma del porto e giustizia su quello che è successo.
Sul primo punto nebbia fitta. L’intensità dell’inerzia e inversamente proporzionale alle lusinghe che la vecchia classe dirigente aveva fatto dopo l’esplosione: “nulla sarà come prima”, “un governo rapido”, “via i corrotti”, “il popolo deve avere molta più voce” e tante altre amenità di questo tipo.
L’aria che si respira è quella di sempre: la camarilla.
Ma ai cittadini libanesi mancheranno soprattutto due cose: un nuovo governo come era stato promesso nei giorni dopo il dramma del porto e giustizia su quello che è successo.
Sul primo punto nebbia fitta. L’intensità dell’inerzia e inversamente proporzionale alle lusinghe che la vecchia classe dirigente aveva fatto dopo l’esplosione: “nulla sarà come prima”, “un governo rapido”, “via i corrotti”, “il popolo deve avere molta più voce” e tante altre amenità di questo tipo.
L’aria che si respira è quella di sempre: la camarilla.
Il Presidente Aoun ostaggio di Hezbollah. Hezbollah fermo aspettando le prime mosse della nuova amministrazione americana verso l’Iran.
Saad Hariri, leader in attesa di conferimento, organizza un fronte con gli amici-rivali, il presidente del Parlamento Nabih Berri e Walid Jumblatt, leader druso e nemico giurato della Siria.
L’eterno ritorno di Nietzsche, l’universo che rinasce e rimuove in base a cicli temporali fissi. Di questo eterno ritorno fa parte anche la rinuncia da parte della Commissione internazionale che doveva presentare un audit sulle finanze libanesi ma non è riuscita neppure a farsi dare i documenti necessari dalle autorità a partire dalla Banca centrale.
Nel frattempo crolla la lira libanese e chi può emigra, o meglio dire, fugge a Cipro. I vecchi ricchi, la borghesia colta, prima di finire fra gli ultimi vende tutto e cerca rifugio fuori dal paese.
Sul fronte giustizia sono naufragate le ultime speranze dei cittadini onesti libanesi, dei giovani che riempivano le piazze, che accerchiavano la presidenza della repubblica e il parlamento.
La sospensione delle indagini sulla micidiale doppia esplosione del 4 agosto nel porto di Beirut è stata la pietra tombale su quelle speranze.
Saad Hariri, leader in attesa di conferimento, organizza un fronte con gli amici-rivali, il presidente del Parlamento Nabih Berri e Walid Jumblatt, leader druso e nemico giurato della Siria.
L’eterno ritorno di Nietzsche, l’universo che rinasce e rimuove in base a cicli temporali fissi. Di questo eterno ritorno fa parte anche la rinuncia da parte della Commissione internazionale che doveva presentare un audit sulle finanze libanesi ma non è riuscita neppure a farsi dare i documenti necessari dalle autorità a partire dalla Banca centrale.
Nel frattempo crolla la lira libanese e chi può emigra, o meglio dire, fugge a Cipro. I vecchi ricchi, la borghesia colta, prima di finire fra gli ultimi vende tutto e cerca rifugio fuori dal paese.
Sul fronte giustizia sono naufragate le ultime speranze dei cittadini onesti libanesi, dei giovani che riempivano le piazze, che accerchiavano la presidenza della repubblica e il parlamento.
La sospensione delle indagini sulla micidiale doppia esplosione del 4 agosto nel porto di Beirut è stata la pietra tombale su quelle speranze.
Un magistrato coraggioso, il giudice istruttore Fadi Sawan, era arrivato a incriminare il capo del governo dimissionario e tre ex ministri accusandoli di negligenza per quello che è successo al porto. Prima il licenziamento da parte del primo ministro in carica Hassane Diab poi l’imputazione dall’Ufficio di dell’Assemblea nazionale che ha messo in dubbio la sua imparzialità. Così viene sospeso, in attesa della decisione della Corte di Cassazione che nei prossimi giorni sostituirà lo sconsiderato magistrato o lo confermerà nella sua missione.
“Si la justice tombe, toute la structure de l'Etat s'effondrera avec elle", è stata la lapidaria dichiarazione di Béchara Raï patriarca maronita.
“Si la justice tombe, toute la structure de l'Etat s'effondrera avec elle", è stata la lapidaria dichiarazione di Béchara Raï patriarca maronita.