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Millennium Jazz Dal jazz alla trap: oltre un secolo di storia fuso in un genere
Si tratta di un genere nostalgico, che va avanti guardando indietro. Cammina ancora nell’ombra, ma è il futuro. Un misto tra esotismo, vaporwave e low-fi. Musica ambient mista a un hip-hop trappeggiante che diventa chillwave. É un fluido uscito da un VHS impolverato, con echi di vecchi sax che suonano
smooth-jazz
Articolo di Edoardo Mazzilli & Davide Formenti Arranz
- Sperimentazione: i pionieri
- Origini: il jazz-rap
- Rivoluzione pre-millennio
- Innesto: la trap
- Kendrick Lamar, Ambrose Akinmusire e la nascita del Millennium Jazz
- Philli Moo & Qnote, Free n Losh & Terrell Morris
- Masego, FKJ e Tom Misch
- Il futuro del Millennium Jazz
L’anno 2000 appare ormai molto lontano, sono passate più di due decadi, ma l’inizio del nuovo millennio è rimasto sospeso nel tempo e ha siglato il cambio di passo del mondo sotto diversi punti di vista. La musica non è esclusa da questo discorso, anzi, con l’avvento del XXI secolo è incrementata la diramazione di sottoculture e nicchie sperimentali e c’è stato un proliferare di nomi per cercare di definire in modo sempre più minuzioso i generi. House, electro-house, tech-house, nu metal, alternative hip-hop, synth-pop, emo-pop, indie-rock e trap. Sono infiniti i nomi spuntati dal Duemila, ma fra tutti quello che lontano da occhi indiscreti si sta sviluppando sempre di più è il Millennium Jazz: un’evoluzione del jazz ricca di contaminazioni elettroniche e hip-hop.
La base etimologica del nome porterebbe a credere che questo genere raggruppi tutta la musica jazz prodotta dal Duemila in poi, ma questa definizione non calza, perchè il Millennium Jazz racchiude in realtà sviluppi molto discostanti dal suo antenato.
A sentire vecchi maestri di musica il jazz è dettato dalla ritmica, dal ritmo swing, da quel «tss-t-t-tss» inconfondibile del ride della batteria, e tutto ciò che non presenta questa ritmica non è jazz. Come può dunque un pezzo con un banale 4/4 essere definito jazz? Qual è il fil rouge che attraversa due secoli di storia e collega i canti di lavoro degli schiavi afroamericani alla musica trap? Cosa mantiene di quel genere insediatosi a New Orleans all’inizio del XX secolo un pezzo hip-hop del 2021?
Sperimentazione: i pionieri
La sperimentazione è intrinseca alla musica, la quale non avrebbe visto sorgere nuovi generi se non fosse stata sottoposta a distorsioni, mescolanze, torture e colpi di genio. La musica di oggi è frutto della sovrascrizione di tecniche, suoni e generi del passato rimescolati, riadattati o espressi in modo differente. Il jazz non si è mai tirato fuori da queste dinamiche e se volessimo fare un esempio di pietra miliare - di tassello fondamentale della rivoluzione jazzistica - sarebbe doveroso scomodare Bitches Brew, capolavoro di Miles Davis.
La registrazione di questo double-album iniziò la mattina del 18 agosto 1969, poche ore dopo che Jimi Hendrix aveva distorto l’inno americano a Woodstock. Ed è proprio al clima di Electric Ladyland di Hendrix che si è ispirato Davis per creare Bitches Brew, ma come spesso accade nel disco non sono molti i richiami alla sua fonte. I contrasti sono sperimentali: grancassa rombante e linee di basso gommose prese in prestito da Sly e Family Stone. Tutto il resto proviene da un altro pianeta. La pura densità della musica è spesso sinfonica. Appaiono Chick Corea, Larry Young e Joe Zawinul contemporaneamente alle tastiere mentre suonano gruppi di accordi dissonanti tra loro e Ron Carter e Dave Holland - basso e contrabbasso - che si contrappongono alla voce baritonica del clarinetto di Benny Maupin. Tre batteristi e altrettanti percussionisti per creare un’intricata ritmica di groove ipnotici su cui svettano la tromba di Miles Davis, il sax di Wayne Shorter e la chitarra elettrica di John McLaughlin, improvvisando liberamente sotto l’influenza di temi indo-arabi.
Quello che preme sottolineare di questo lavoro pioniere nell’utilizzo di strumenti elettrici in un disco jazz, è che il materiale registrato in studio subì un intenso lavoro di post-produzione e vennero aggiunti strani effetti sonori: un’altra importante innovazione. Inoltre le tracce si presentano prive di struttura - a contrario degli “standard” a cui si era abituati - e prive di temi o melodie che restino impresse all’ascoltatore.
Origini: il jazz-rap
Non è intenzione delle prossime righe cercare di spiegare il fenomeno hip-hop, trattandosi di un movimento culturale, nonché di un genere musicale infinitamente ampio e con molte sfaccettature. Ciò che interessa evidenziare è come dal suo fiorire negli anni Settanta - anni di Bitches Brew - con l’hip-hop si sia cominciato a parlare dei problemi e della frustrazione della vita nella ghetto nei testi delle canzoni. Il pezzo The Message, dall’omonimo disco del 1982 del gruppo Grandmaster Flash and The Furious Five ha segnato l’anno zero di un genere influenzato dal funk, dalla disco, dal raggae e in parte anche dal jazz, che rivendica la rabbia di chi viene dalla strada.
Run-D.M.C., Public Enemy, Ice-Cube, N.W.A, Snoop Dogg, 2pac, Dr. Dre e Notorious B.I.G. sono solo alcuni dei nomi che ripercorrono idealmente le tappe fondamentali dello sviluppo hip-hop, ma ai fini del discorso è il caso di ricordare il duo Gang Star - formato dal rapper Guro e DJ Premier - che debuttò con il disco No More Mr. Nice Guy. Tra i singoli per promuovere l’album compare Words I Manifest, brano in cui Guru rappa senza inibizioni su un campionamento di A Night in Tunisia di Charlie Parker e Miles Davis.
E così mentre nello stesso anno il sassofonista John Zorn a New York pubblica Spy Vs. Spy consacrando l’unione tra il jazz e la musica hardcore e dà vita al genere jazzcore, i Gang Star a Brooklyn fanno parlare per la prima volta del genere jazz-rap. Con Words I Manifest si è messa in risalto l’affinità tra la basi hip-hop e quelle jazz, nonché la possibilità di sostituire gli strumenti a fiato con una parte di cantato rap. Contemporaneamente anche altri hanno tentato con successo di riproporre lo stesso genere. I Jungle Brothers con Straight Out the Jungle (1988), De La Soul con 3 Feet High and Rising (1989), A Tribe Called Quest con People's Instinctive Travels and the Paths of Rhythm (1990) e ancora lo stesso Guru dei Gang Star con delle sessioni chiamate “Jazzmatazz” divise in quattro dischi: Jazzmatazz, Vol. 1 (1993), Jazzmatazz, Vol. 2: The New Reality (1995), Jazzmatazz, Vol. 3: Streetsoul (2000) e Jazzmatazz, Vol. 4: The Hip Hop Jazz Messenger: Back to the Future (2007).
Per registrare queste sessioni Guro ha radunato artisti del mondo jazz - Donald Byrd, Branford Marsalis, Ronny Jordan, Courtney Pine, Herbie Hancock, David Sanborn e altri grandi - e li ha uniti alle voci di artisti hip-hop - N'Dea Davenport, Big Shug, Chaka Khan, Donell Jones, Bilal, Craig David e altri grandi. Il risultato? Beat hip-hop a braccetto con trombe e sax, pezzi rappati accompagnati da pianoforte e linee di walking bass, voci soul che si mischiano a echi e altri effetti sonori. In questi quattro dischi il jazz ha collaudato, sancito e approvato un legame con l’hip-hop e il rap e ha anticipato il Millennium Jazz di oltre vent’anni.
Rivoluzione pre-millennio
Se da un lato l’evoluzione del jazz non è mai stata accolta di buon grado dai puristi, a fare la storia è stato chi non ha tenuto conto delle possibili critiche e ha addirittura iniziato a definire una propria scuola nel panorama musicale. Un esempio sono le sottoculture sviluppatesi attorno a Parigi nei primi anni Novanta. I Daft Punk in primis con l’album Homework e gli Air un anno dopo con Moon Safari. Due coppie di artisti eclettici che hanno saputo imporsi nel mondo della musica house ridisegnandone il modello - i Daft Punk - e che hanno creato un movimento come l’easytronica: musica classica mischiata all’elettronica e con una tattile inflessione jazz - gli Air. Pur non avendo direttamente a che fare con il mondo jazz questi due gruppi hanno spalancato le porte della musica elettronica e la produzione artistica del Millennium Jazz gli deve molto.
Innesto: la trap
La trap è un fenomeno recente in Italia ma in America se ne parla da più di trent’anni. Negli anni ’90 le “trap houses” erano case o edifici abbandonati nella periferia di Atlanta dove gli spacciatori “trappavano” - dallo slang americano trapping: spacciare - droga. Da allora il termine è entrato nell’uso comune soprattutto tra i rapper che frequentavano questi ambienti. Consumo smodato di “purple drank” - sciroppo per la tosse alla codeina mischiato a Sprite - e basi prodotte con drum machine Roland TR-808: su questi elementi si fonda la leggenda del genere che ha preso il sopravvento ed è riuscito a rendere obsoleto persino il rap. I temi a guardar bene sono gli stessi, i portavoce pure, ma questo genere ha una profonda identità che lo discosta dal suo genitore e lo rende immediatamente riconoscibile. Con la trap si è esasperato l’utilizzo di Auto-Tune (software che permette di correggere l’intonazione della voce) ed è nata la moda di cantare con voci robotiche. Rispetto all’hip-hop e al rap le linee vocali sono più melodiche che parlate e gli accenti vengono spostati per dilatare le parole e ricreare il senso di disorientamento dato dalle droghe. Un artista in voga in questo ambiente è Lil Uzi Vert che nel 2017 è uscito con il suo primo album in studio Luv Is Rage 2 debuttando al primo posto di Billboard 200 (consigliamo l’ascolto di Money Longer per cogliere quanto detto).
Musica a parte, la trap è un vero e proprio stile che predilige uno stato onirico, rilassato, ed è stato seguito anche da artisti che non vengono necessariamente associati al genere.
Kendrick Lamar, Ambrose Akinmusire e la nascita del Millennium Jazz
Kendrick Lamar, rapper californiano classe ’87, muove i primi passi nell’ambiente hip-hop giovanissimo. Dopo un paio di dischi in studio nel 2015 si impone nel universo musicale con un disco pesantissimo: To Pimp a Butterfly.
In questo album collima tutta la cultura afroamericana, dai testi delle canzoni al sound. L’influenza jazz, funk e soul è facilmente percepibile, lo stesso Lamar ammetterà di dover molto a Miles Davis e i Funkadelic per la genesi di questo disco. L’ascesa del movimento Black Lives Matter nel medesimo periodo della pubblicazione ha fatto in modo che la popolarità del disco crescesse velocemente, perchè i temi delle tracce ruotano soprattutto attorno alla diseguaglianza sociale e alla discriminazione razziale. L’album ha esordito al primo posto della classifica Billboard 200, è stato premiato “Disco di Platino” dalla Recording Industry Association of America e “miglior album rap” ai Grammy Awards 2016, oltre a vantare una candidatura nella categoria “album dell’anno”.
Quello che scorre nelle sedici tracce è un groviglio di rap di ottima qualità cantato su forti basi hip-hop in cui a volte subentrano linee di basso e pianoforte. Ma quello che ci interessa notare è la presenza di una tromba sparsa per tutto il disco. A suonarla è Ambrose Akinmusire, talentoso trombettista e compositore che vanta un debutto con Joe Handerson e la vittoria nello stesso anno (2007) della “Thelonious Monk International Jazz Competition” e “Carmine Caruso International Jazz Trumpet Solo Competition”.
Ad ascoltare il brano For Free? (Interlude), ma anche Alright, dove la tromba di Akinmusire è più presente, si viene scaraventati in un mondo jazz che Kendrick Lamar ha colorito con suoni hip-hop, ma che pur sempre resta jazz. Si può parlare quindi di un jazz-rap inteso come quello dei Gang Star di venticinque anni prima? Non proprio. Quello di Lamar è un jazz-rap più compatto dove non si percepisce lo stacco tra i generi, dove la musica elettronica ha dato il suo grande contributo e dove la trap ha insegnato a dilatare le parole per creare stravaganti effetti ritmici. É solo la tromba di Akinmusire a dirci che questo è jazz? Ovviamente no. Sono la batteria che smista il tempo - quella di cui parlavano i “vecchi maestri di musica” -, le dita che scorrono sul piano e il contrabbasso che accompagna a farcelo capire. E infine sì, anche la tromba.
Dopo la collaborazione con Lamar, Akinmusire, che non si era mai sporcato le mani con generi che non fossero jazz, nel 2018 pubblica Origami Harvest per la Blue Records (stilisticamente la copertina ricorda molto Wheels of Fire dei Cream), che viene definito trap-jazz. Si tratta di un disco puramente sperimentale e insolito nel suo genere: Akinmusire è stato commissionato partendo dalla domanda «qual’è l’idea più pazza che hai?» che l’ha portato a spingersi ai confini dei suoi interessi e unire musica da camera alla trap e ovviamente al jazz.
In queste sei tracce - alcune abbondantemente oltre i dieci minuti di durata - il fluido sonoro sembra scorrere senza meta come in Bitches Brew. Il rapper Kool A.D. canta, o per meglio dire, parla in maniera profonda e riflessiva legandosi all’andamento degli archi del Mivos Quartete e creando un stato puramente coscienzioso. Il titolo stesso fa parecchio riflettere perchè “Origami”, ha spiegato Akinmusire, si riferisce ai diversi modi in cui gli uomini di colore devono piegarsi per adattarsi a uno stampo, mentre “Harvest” si riferisce alla ciclicità con cui si ricreano questi strutture gerarchiche nella società. Il pezzo a blooming ___i-i___loodfruit in a hoodie (di cui raccomandiamo l’ascolto) è dedicato al diciassettenne di colore Trayvon Martin, ucciso nel 2012 nei pressi di Stanford, Florida solo perchè camminava con il cappuccio della felpa alzato. Come questa traccia, tutto il disco tocca temi cari all’America multietnica.
Philli Moo & Qnote, Free n Losh & Terrell Morris
Mentre nel 2016 Kendrick Lamar si godeva il successo di To Pimp a Butterfly, i musicisti Phillip “Philli Moo” Mouton e Quincy “Qnote” Watson, noti collettivamente come Trap Jazz Giants, fondono insieme - anticipando Akinmusire di due anni - il jazz e la trap. I Am Trap Jazz è nato dalla preoccupazione degli anziani - condivisa anche dal gruppo - in merito alla longevità del jazz e il sempre più scarso interesse da parte dei giovani per questo genere. Qnote si è espressamente rivolto alle ultime generazioni chiedendo se fossero veramente convinti che la trap fosse roba nuova. Il bebop è la trap originale, ha detto, solo che ai tempi la facevano senza le 808 (le drum machines Roland TR-808). E così questo progetto spinge ad avvicinare i giovani amanti della trap all’ascolto del jazz: un album sostanzialmente jazz che accoglie la pesante contaminazione del cantato trap e mescola sax a beat hip-hop, sintetizzatori e voci calde e melodiche tipiche del genere tanto in voga tra i giovani. Philli Moo & Qnote hanno continuato a lavorare seguendo questa scia e nel 2018 hanno pubblicato The Pulitzer Present Philli Moo’s 90’ Type Ish.
Nello stesso anno a Toronto il duo Free n Losh formato da due giovani producers - Free amante della chitarra e Losh batterista - se ne salta fuori con un piccolo EP da cinque tracce dal sound molto interessante: 5th & Ghost. Pubblicato inizialmente su Soundcloud, senza toccare piattaforme più prestigiose, raggiunge comunque un discreto successo grazie al featuring con l’eclettico Terrell Morris in The Right Song.
Con l’artista, anche lui canadese, hanno creato un legame che li ha portati a collaborare ancora nel 2018 per Molasses, il primo disco in studio di Terrell Morris in cui i rimandi al genere trap-jazz sono tutt’altro che celati. Un disco dal suono dolce quanto il suo omonimo sciropposo - la melassa - ma dato da un’estetica in scala di grigi. Nel 2020 Terrell Morris ha pubblicato Lavander proseguendo nella stessa direzione
In 5th & Ghost figura anche la partecipazione di un’electro-soul band canadese che merita di essere approfondita: Busty and the Bass. Questo gruppo, che ha suonato nel brano Runnin’, scaraventa letteralmente nel mondo jazz soprattutto per la presenza di due fiati nella formazione - tromba e trombone - che contribuiscono ad avere un’impronta artistica alternative molto godibile. Nel 2017 hanno pubblicato Uncommon Word, un disco dalle sonorità oniriche che mischia il jazz all’hip-hop (e di cui raccomandiamo l’ascolto) e nel 2020 Eddie, un connubio di jazz, soul e rap con sonorità vaporwave.
Masego, FKJ e Tom Misch
Sempre nel 2016 c’è qualcun altro che debutta accodandosi al genere: si tratta del polistrumentista dallo straordinario talento Masego, classe ’93 - da padre jamaicano e madre afroamericana. Si chiama Loose Toughts l’album uscito per l’etichetta TrapHouseJazz che mischia influenze tribali a trap riverberata e sax (ormai un elemento fondamentale per il genere). Nello stesso periodo, frutto della collaborazione con Medasin, esce anche The Pink Polo - EP (stessa etichetta): poco meno di mezz’ora di sound che catapulta nell’era analogica e regala una sprazzo di vibrazioni positive e dove il sax di Masego è ancora il protagonista.
È solo nel 2018 però che Masego raggiunge notorietà e questo è in parte dovuto alla collaborazione con FKJ - French Kiwi Juice - in Lady Lady. FKJ, nome d’arte di Vincent Fenton, è un polistrumentista francese classe ’90 a cui viene attributo il titolo di pioniere della nuova new-french-house, che dà ulteriore motivo di pensare che ci sia del magnetismo tra la Francia e la musica elettronica. L’unione di Masego e FKJ ha portato alla produzione di un disco freschissimo che si posiziona nell’olimpo del Millennium Jazz. Il singolo Tadow racchiude benissimo tutti gli elementi base di questo genere: i musicisti sono entrambi due polistrumentisti - una prerogativa importante per chi fa questo genere perchè spesso si tratta di one-man-band -, la wave è calma e rilassata - si potrebbe parlare infatti di chillwave - e infine i fiati, in particolare il sax che porta subito la mente di chi ascolta al mondo jazz.
FKJ aveva debuttato singolarmente un anno prima con l’omonimo French Kiwi Juice, un disco dalle colorazioni più elettroniche ma che rientra assolutamente nello stampo Millennium Jazz per gli elementi citati prima. E sempre dell’artista francese è il caso di segnalare la recente collaborazione con Tom Misch per il singolo Losing My Way. Tom Mich è un musicista e producer inglese di venticinque anni che cavalca l’onda Millennium Jazz dal 2017, quando ha pubblicato Geography. Con chi vanta un featuring questo disco? De La Soul - ne abbiamo accennato al capitolo jazz-rap insieme ai Gang Stars. Si tratta infatti di un disco molto frizzante che si mantiene sul genere. La voce di Misch è calda come la sua chitarra, i suoni sono morbidi e i groove semplici ma ben congegnati.
Il futuro del Millennium Jazz
La lista degli esponenti di questo genere poco conosciuto è ancora lunga. Flamingosis, Birocratic, Aso, SiR, fantompower, Melo-Zed, Philanthrope e Burrito Brown sono sono alcuni dei nomi che si sarebbero potuti citare. C’è chi tende più al funk, chi alla musica ambient e chi alla chillwave, ma il nucleo alla base è identico. Parliamo di artisti che molto spesso sono tutto-fare e nei loro piccoli studi di registrazione casalinghi si occupano sia della composizione che del missaggio. La post-produzione ha un ruolo fondamentale in questo genere e prevede l’aggiunta di colorazioni sonore molto calibrate, ma altrettanto importante è l’uso di tastiere e sintetizzatori. Si predilige l’uso di vecchi pianoforti elettrici come Fender Rhodes o Wurlitzer e l’utilizzo di mellotron al fine di creare un sound caldo e riverberato che rimandi agli anni ’70. Non c’è spazio per distorsioni graffianti in questo universo, sia gli strumenti che le voci sono ammorbidite e la trap ha insegnato a non disegnare l’utilizzo di Auto-Tune. Gli strumenti a fiato sono indispensabili per tenere tutto nella branca del jazz, mentre la base molto spesso è figlia dell’hip-hop e viene affidata a drum machine. Fondamentali e altrettanto utilizzate sono le loop-machine. I suoni il più delle volte vengono volutamente sporcati per creare un effetto low-fi, una caratteristica importante per questo genere che vuole scaturire quel senso di fascino e nostalgia verso l’estetica dell’era analogica: un punto molto spesso percepibile anche nelle copertine dei dischi che sembrano foto scattate con vecchie polaroid.
Caldeggiamo l’ascolto della playlist “Millennium Jazz" (https://www.youtube.com/playlist?list=PL650f4R9ezd2zedBoNrRGPssYpA3oO9D9) per ripercorrere quanto cercato di spiegare e cogliere concretamente la bellezza di questo genere.