
Marco Rovelli Portami al confine
2020 - Squi[libri]
Il secondo motivo per cui comincio da Claudio Lolli rimanda a Samuel Beckett - al suo ontologismo paradossale e nero-pece -, dichiarato totem ispirativo di questo Portami al confine, a partire dalla traccia che lo inaugura. Col suo nome (Beckett): “Ho sempre provato/ Ho sempre fallito/ proverò ancora/ fallirò ancora/ fallirò meglio”, proclama Rovelli, parafrasando lo scrittore. Nel 2000 Claudio Lolli, aveva fatto più o meno la stessa cosa, assumendo Beckett a movente dell’album Dalla parte del torto. E ciito soltanto Aspettando Godot perché spero lo conosciate a memoria. Più che di buone letture, credo che fra Claudio Lolli e Marco Rovelli si tratti di sentire e divergenze comuni. E per Rovelli mi pare già un riconoscimento non da poco. Rovelli non è Lolli (e chi potrebbe esserlo, del resto, dati tempo e luogo diametralmente mutati), ma dalla sua ha idee chiare, buona penna e altrettante buone intenzioni.
Firma il suo nuovo Portami a confine, Rovelli & l’Innominabile e sul terreno dei contenuti non ha niente da farsi perdonare da chi dalla canzone si aspetta qualcosa di più che una rima scontata. O un tema scacciapensieri. Il multiverso di Marco Rovelli (scrittore, poeta, reporter sociale, musicista, performer) comprende anche l’insegnamento della filosofia. Si vede e si sente. L’album, vivaddio, non induce alla spensieratezza, e del resto, dati i tempi, la spensieratezza è degli ignavi oppure degli scemi. I’ can’t go on (andiamo avanti) campeggia a mo’ di insegna da musical anni 30, sullo sfondo nero della copertina firmata dall'artista concettuale Alfredo Jaar. I’ can’t go on sono le ultime parole de L’innominabile, altro libro famoso di Samuel Bechett. Tanto per cambiare. Traducendone il succo: se non possiamo andare avanti, allora andiamo avanti. Anche se controsenso. Anche se dalla parte del torto. Anche se aspettando sgomenti un Godot che non arriva mai. Anche se alle prese coi confini, interni/esterni ai Malone che siamo tutti: fine corsa mai.
Il confine è il filo rosso ulteriore che fuori e dentro metafora attraversa l’album. Il confine politico-ideologico che divide gli stati (Cuore di tenebra, 43, Il muro di Idomeni, Al confine), il confine interiore che divide le anime (Povero Cristo, Io ti scrivo, Il paese guasto), e l’ultimo confine, il confine dettato dalla morte che bisogna ignorare come se non ci fosse, dedicandosi all’amore per la vita (I buffi di cuore, Nanà). Il disco è variegato, tagli, tempi, suggestioni diverse vi afferiscono senza attentarne la compattezza. Decisivi gli apporti dati dalla chitarra drone di Paolo Monti, dal violoncello di Laura Vecoli, dal basso di Rocco Marchi e dalla batteria di Massimiliano Furia. Voce e chitarra acustica ce li mette Marco Rovelli, cantautore non canonico che dall’ascolto dei cantautori canonici ha tratto – i presume - apprezzabile giovamento. Portami al confine è, in ultima analisi, un album che tenta - e trova - la strada dell’impegno attraverso una scrittura superiore alla media attuale, e climi musicali non sempre appaganti per i fedeli alla linea del cantautorato classico, ma che in grande maggioranza non dispiacciono. Il voto? Sulla scorta di quanto ho scritto ricavatelo da voi.