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Comets On Fire Avatar

2006 - SUB POP / AUDIOGLOBE

27/07/2006 di Christian Verzeletti

#Comets On Fire #Psychedelic

Sui Comets On Fire, come su tanti altri gruppi degli ultimi anni, si è abbattuta quella tempesta di meteoriti che è il gioco dei paragoni provocato dall’ansia della critica di fregiarsi di “nuove” scoperte. Questa band californiana è stata accostata a tanti generi e nomi che diventa difficile farsi un’idea di come suonino: dall’hard-rock al free-jazz, dallo stoner allo space, dagli Hawkind a Sun Ra, dagli Stooges ai King Crimson, passando per Frank Zappa, Faust, Jimi Hendrix, Who, Motorpsycho, Kyuss e chi più ne ha più ne metta (che fa figo).
È un peccato che si crei tutta questa confusione, perché i Comets On Fire hanno le idee più chiare di tanti critici e soprattutto non si aggrovigliano dietro a pippe mentali mascherate da presunti trip: loro suonano davvero e potrebbero dar lezioni di ripetizione a molte band etichettate come psichedeliche e retrò.
“Avatar” è il loro quarto disco e segue quel debutto su Sub Pop che era stato “Blue cathedral”, cd con cui in molti li avevano “scoperti”: andando a ripercorrere il cammino fin qua compiuto, è evidente che la band è andata via via smussando certe scorribande hard per sviluppare un suono meno rumoroso ma altrettanto libero.
Ascoltando questa manciata di pezzi, viene da dire che un gruppo del genere poteva venire solo dai dintorni di San Francisco ed uscire poi per la Sub Pop: Ethan Miller e soci hanno infatti un’attitudine freak che definisce il loro suono più di quanto facciano gli effetti dell’echoplex, un aggeggio che permette di spaziare tra eco e delay. Qua vale la pena spendere il termine “psichedelia” per qualcosa che vi si avvicini in modo più corposo di band come i Gomez: i Comets On Fire sono arrivati a riconoscere la loro matrice hard-blues e, se proprio si vuol fare qualche nome, bisognerebbe suggerire Allman Brothers Band e Procol Harum, rimandi altisonanti ma che servono a collocare l’ascolto tra la fine degli anni ’60 e l’inizio dei ’70.
Il disco comincia nel modo più libero possibile: in “Dogwood Rust” il tasto rec viene pigiato dopo che la band stava già suonando da un pezzo, dando subito l’idea di una capacità improvvisativa che produce parti di musica in abbondanza. Per quanto la band suoni libera ed energica, il risultato non è spasmodico e produce anche delle ballate di spessore, pronte a crescere su echi di blues e squarci Seventies.
L’unico sfogo è la furiosa “Holy Teeth”, ma per il resto tutto segue una direzione precisa mirando ad una psichedelia moderna che non si limita però a girare attorno a schizzi di keyboards e di elettronica: batteria e basso suonano come di solito non succede, mentre le chitarre si incrociano e viaggiano acide, senza la pretesa di suonare né nuove né come qualcun altro.
Poi nella scia lasciata dai Comets On Fire ognuno può scorgere ciò che vuole, ma ciò che conta è la sostanza che li brucia da dentro.

Track List

  • Dogwood Rust|
  • Jaybird|
  • Lucifer´s Memory|
  • The Swallow´s Eye|
  • Holy Teeth|
  • Sour Smoke|
  • Hatched Upon the Age

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