Willy Vlautin Il cavallo
Willy Vlautin, "Il cavallo" (Jimenez) trad. di Gianluca Testani, pagg. 190 euro 18 Narrativa | Narrativa Straniera | Musica
15/06/2024 di Valeria Di Tano
Willy Vlautin racconta l'America, non c'è dubbio.
Una America da “side B” dell'album che ha scalato le classifiche, quello del sogno, delle opportunità, un Paese abitato da uomini (e donne) più fallibili che falliti, e che non hanno più molto da inseguire, se non se stessi, in una specie di trappola di pensieri impolverati e stantii.
Ha una doppia vita, Vlautin (cosa che negli Stati Uniti, dobbiamo ammettere, accade spesso, con risultati ottimi in entrambi i campi, come linguaggi sovrapposti, codici che servono alla stessa storia gigantesca e affascinante, lontano dai memoir e dalle biografie da scandalo o da fenomeno di marketing): cantante, chitarrista e autore nei Richmond Fontaine e nei The Delines, con ispirazioni da Tom Waits e Shane MacGowan, trasferisce perfettamente lo stile musicale country rock con influenze soul nei suoi romanzi.
Lo fa in modo impeccabile (che ricorda sia Raymond Carver sia John Steinbeck, rivisitati entrambi con una ironia contemporanea deliziosa) nell'ultimo lavoro pubblicato in Italia da Jimenez, Il cavallo.
Intanto, nelle ambientazioni: il Nevada desertico, freddo e aspro delle miniere isolate, ma anche quello afoso e pacchiano dei casinò e quello spoglio dei motel lungo le highways.
E fa musica anche mentre racconta il suo protagonista: Al Ward, sessantacinquenne cantautore e chitarrista, rintanato in una baracca fredda e nuda, con cibo in scatola come unica provvista.
La storia di Al si srotola sotto gli occhi del lettore un capitolo dopo l'altro, con una dolcezza amara e nostalgica che riempie le orecchie come musica: le sue canzoni, delle quali Al cita i titoli in lunghissime liste, sono una idea davvero seducente, perché si comprende presto che in quei titoli, ancora più che nel racconto vero, sono nascoste le emozioni, le delusioni, le fatiche del protagonista, svelando quanto vita e arte si intreccino, quanto e come l'ispirazione più vera nasca dai respiri, dal sudore, dalla pelle di chi scrive.
Al sceglie, a un certo punto della sua vita, una solitudine a largo raggio, ripiegando se stesso dentro confini sempre più stretti, affidando le sue giornate a rituali rigidi e nudi, una sorta di ascetismo senza religione, senza emozioni. Ed è in questo momento che Vlautin lo mette alla prova: davanti alla sua porta di casa, con le zampe nella neve e tormentato dai predatori notturni, Al trova un cavallo.
Ed è questo che scatena tutto il romanzo, un fiume di ricordi della vita di Al in tournée, del suo successo, dei suoi baratri, l'alcol, gli amori vissuti e poi perduti, gli amici. E tantissima musica, raccontata come un'avventura, come poesia: le canzoni scritte e quelle da scrivere, la radio accesa come arma, difesa, salvezza.
Il cavallo è un romanzo splendido che racconta una vita, la sua depressione e un lungo lento cammino incosciente e azzardato. E soprattutto ciò che, rimasto sedimentato da qualche parte sotto le delusioni, sotto l'alcol, sotto la tristezza, durante quel cammino riesce a riemergere.
Leggerlo rende meno soli.
E anche più felici. Bellissimo.