Sarah Smarsh

Sarah Smarsh Una forza della natura. Dolly Parton e le donne delle sue canzoni


Black Coffee, 2022, Federica Principi (Traduttore), 154 pp., 20 euro Musica | Biografie

07/05/2022 di Franco Bergoglio
Con una cofana di capelli che oggi può ricordare la sfortunata Amy Winehouse (ma
cronologicamente è vero il contrario), certamente Dolly Parton non è mai entrata nei radar del pubblico italiano: anche gli appassionati più tosti di americana per motivi linguistici, estetici e culturali girano alla larga dal country. Stando a quanto scrive l’autrice, la ricercatrice Sarah Smarsh, sembra che in America avvenga la stessa cosa: il pubblico raffinato urbano non ascolta country. A New York arricciano il naso sulla musica campagnola (e per par condicio su hip-hop e derivati). Oppure c’è qualcuno che parlando di country puntualizza: “non mi piace, ma Johnny Cash sì”.

Troppo facile cercare lo sdoganatissimo Cash. Smarsh, in Una forza della natura. Dolly Parton e le donne delle sue canzoni, si immerge nelle origini rurali di Dolly Parton e si rivede in controluce, bambina in una fattoria del midwest americano. A questo punto rilegge la propria esistenza attraverso quella di Parton e la vita delle donne bianche della classe lavoratrice americana di provincia sulla base dei testi delle canzoni country che costituivano la valvola di sfogo emotiva per molte di loro. Coprotagonista per alcune pagine del libro diventa la nonna di Smarsh, Betty, simbolo della donna americana lavoratrice e della sua lotta per l’emancipazione dall’uomo; una figura femminile forte che si commuove solo…cantando le canzoni di Dolly Parton.

Con un meccanismo di identificazione non tanto scoperto, il tipo di scrittura è sempre partecipe: siamo nell’ambito di uno stile gonzo journalism che qui sostituisce atteggiamenti macho e parolacce con un bel piglio femminista. Il secondo capitolo Dolly Parton perfeziona l’arte di andarsene inizia a dispiegare di fronte al lettore i propositi dell’autrice. L’arte di andarsene è quella di rendersi indipendenti dall’uomo, di auto-realizzarsi economicamente e spiritualmente. Le prime pagine sono dedicate al rapporto protettivo e manipolatorio di Dolly con la stella del country Porter Wagoner. Questi cerca prima di utilizzarla come una presenza ornamentale per il proprio show televisivo, poi di controllarne il talento, infine di sfruttarla. Se provate a guardare su YouTube spezzoni dei duetti tra Dolly e Wagoner, vi farete una risata sincera per l’aspetto dei due; in particolare a colpire è quello di Wagoner che ha un ciuffo in testa di dimensioni inaudite, sfoggia un improbabile savoir faire sudista e un vestito di paillettes luccicanti che definire vistoso è poco. Al fianco Dolly -che doveva recitare il ruolo della giovane innamorata dell’uomo di successo- appare in questi anni decisamente acqua e sapone.

L’emancipazione di Dolly da Wagoner è lunga diversi anni e lascia comunque un frutto musicale di prim’ordine, una canzone che è stata - caso unico nel country- in vetta alle classifiche in due decenni diversi, i Settanta e gli Ottanta e poi è diventata un successo pop planetario nel 1992 quando Whitney Houston l’ha cantata nel film The bodyguard. Stiamo parlando di I Will Always Love
You e della scena finale del film tra la cantante e Kevin Kostner: un classico del
romanticismo “un tanto al quintale” hollywoodiano, un fiume di lacrime per i cuori
infranti e un fiume di dollari per quel singolo che è uno dei più venduti della storia.

Pagina dopo pagina Dolly Parton si rivela come una scaltra manager di se stessa.
Quando il Colonnello Parker, il famigerato manager di Elvis Presley, le propose
una cover di questa canzone con il “re del r&r” in cambio dei diritti, lei disse no ( e poi pianse tutta la notte, perché non era facile dire no a Elvis…). Dopo che Whitney Houston ebbe inciso la sua versione lacrime & miele l’autrice si vide recapitare assegni milionari per il brano e dichiarò: “ho guadagnato tanto da potermi comprare Graceland”, la villa superlusso di Elvis e Parker, considerato il manager più spregiudicato e privo di scrupoli di sempre, ha fatto a tempo a mangiarsi le mani dalla rabbia.

Anche Wagoner e Parton litigarono con tanto di avvocati (ma si riappacificarono negli anni successivi). Come disse Dolly Parton al pubblico durante una celebrazione di Wagoner della metà degli anni Novanta: “Ho capito che era uno
con le palle quando mi ha fatto causa per un milione di dollari dopo che per anni mi aveva dato trenta dollari a settimana”. La storia di Dolly raccontata dal libro ripercorre nel bene e nel male la solita vecchia solfa del business americano. Eppure...non si può sostenere di conoscere davvero la musica USA del Novecento senza affrontare di petto il mondo alieno e misterioso del country, e non si può tentare di capire il “mito americano”, se non si affronta un personaggio contraddittorio come quello di Dolly Parton.