Pietro Leveratto

Pietro Leveratto Il silenzio alla fine


Sellerio, 2020, 320 pp., 15 euro Romanzo | Giallo

29/10/2020 di Franco Bergoglio
Tecnicamente, si tratta di un esordio. In precedenza Pietro Leveratto ha scritto, sempre per Sellerio, Con la musica. Note e storie per la vita quotidiana (2014), un saggio che si configura come un ricettario di buoni consigli di ascolto senza confini di genere. Giustamente Leveratto - che è un contrabbassista jazz dalla carriera fitta di collaborazioni eccellenti, un compositore e infine un docente del Conservatorio Santa Cecilia di Roma - quasi per definizione si rivela aperto a tutte le possibilità offerte dal suo campo d’elezione, le note.
Si diceva che “tecnicamente” con Il silenzio alla fine siamo in presenza di un esordio. Eppure è difficile crederlo. Avviarsi a scrivere letteratura con un giallo storico ambientato nella New York dei primi anni Trenta, tra proibizionismo, età del jazz in declino e malavita rampante, significa sbattere contro una montagna marmorea di grande letteratura e cinema e fumetto e canzone e… tanto altro, in un elenco senza fine.
Un immaginario immenso, incandescente, rischiosissimo per chiunque, dove si va dal Padrino di Mario Puzo a Billy Bathgate di E. L. Doctorow …e stiamo solamente sfiorando il tema del gangsterismo, perché se allargassimo il quadro alla Harlem musicale troveremmo decine di titoli e un Nobel, con Jazz di Toni Morisson, e dobbiamo anche ignorare la letteratura ebraico-americana, per dire meraviglie come l’affresco in quattro parti Alla mercé di una brutale corrente del meno famoso tra i Roth del mondo della carta, Henry Roth. E poi c’è Francis Scott Fitzgerald… E la letteratura gialla? Tra personaggi autoctoni creati da Cornell Woolrich o Ed McBain e altri in trasferta (anche Maigret e Simon Templar non resistono al fascino di farsi un giro nella Grande Mela), abbiamo più ressa che su un tram all’ora di punta. E Il cinema? Col cinema, di nuovo, neanche vale la pena iniziare: tra registi e attori entriamo in un recinto di intoccabili (!).
Eppure Leveratto, senza paura, si immerge nel mare profondo di questi immaginari con il coraggio di affrontarne diversi, tutti insieme e senza neanche nascondersi dietro un comodo citazionismo: vuole raccontare una storia, i propri personaggi, gli ambienti e lo fa con perizia invidiabile. L’accuratezza storica è rispettata, i personaggi reali agiscono in modo credibile e coerente (vedi il capo dell’FBI Hoover), la cronaca quotidiana entra nella vicenda con i suoi dettagli studiati. I protagonisti del romanzo non sono tanto quelli elencati all’inizio della storia, come nel più classico giallo all’inglese: sono invece quelli che in un film definiremmo lo sfondo e la colonna
sonora: il primo è la Città di New York alle prese con la Grande depressione, le luci dei quartieri alti e la confusione di quelli bassi, il melting pot razziale di anglosassoni, espatriati mitteleuropei, irlandesi, neri, italiani, ebrei… tutti diversi, divisi e tutti insieme, spesso in bilico tra delinquenza e creatività. La colonna sonora si muove nel mondo della musica classica con i suoi direttori d’orchestra, le sue regole e la sua estetica; il jazz brulica nelle pagine come il prodotto autoctono americano, in piena evoluzione. Su questi sfondi abbaglianti si proiettano come ombre animate  i personaggi del racconto, alcuni dei quali provenienti dalla vecchia Europa e quindi
portatori di una cultura diversa, come lo è anche quella provinciale di Gaspare Tiralongo, piccolo burocrate mandato in missione in America, uomo del sud e camicia nera ante marcia su Roma, un fedelissimo che ha conosciuto Mussolini ed è stato suo compagno in gioventù, quando ancora l’utopia dominante era quella socialista e il fascismo non esisteva.

Il romanzo attraversa le ideologie insieme ai personaggi che, umanamente, vien da dire, seguendo la propria natura e un destino
forse già scritto, fraintendono, ignorano, esaltano o minimizzano a seconda dell’indole e del momento. Ci sono pagine storiche vere (il rapimento del figlio di Lindbergh, il linciaggio di italiani a New Orleans), ma non si ha mai l’impressione di essere capitati per caso in un libro di storia, si tratta sempre di cronaca o della vita dei singoli che incrocia il grande libro dei Fatti. Ci sono ritratti di personaggi come
Orville Joubert che gli appassionati di jazz magari vedranno con il viso e le movenze di Duke Ellington, mentre nel direttore d’orchestra italiano Andrea Bergallo scorgeranno Toscanini o nella rivalità tra celebri bacchette quella tra lo stesso Toscanini e Wilhelm Furtwängler.

Della vicenda “gialla” si può solamente dire che è ben congegnata: il resto lo deve fare il lettore procurandosi il libro.