Nick Hornby Dickens e Prince. Uno speciale tipo di genio
Guanda, Collana Narratori della Fenice, 2022, 176 pp., 16 euro Narrativa Straniera | Musica
01/02/2023 di Valerio Corbetta
Oh, Nick Hornby, le hai scritte tu queste parole, ricordi? Nella prefazione di “Una vita da lettore” del 2006. Mi avevi aperto gli occhi: fino ad allora avevo sempre pensato che lasciare un libro a metà o comunque incompleto fosse un sacrilegio. Come ascoltare un album e mollarlo dopo cinque pezzi perché l’artista non soddisfa i tuoi gusti musicali di quel periodo. Tipo la doppietta “Human Touch”-“Lucky Town” di Springsteen, per capirci. Ho infilato in un cassetto della mente questo tuo discorsetto e in due, forse tre occasioni l’ho tirato fuori per scacciare il dubbio di coscienza al momento di piantar lì una lettura. Episodi rari, rarissimi: ma ci sono stati.
Però erano anni, parecchi direi, che non mi capitava di preferire le Cornici Concentriche della Settimana Enigmistica o una serie su Netflix/Prime allo sfilare il segnalibro e andare avanti a leggere il libro appoggiato sul ripiano qualche ora prima. E stavolta è un tuo libro, l’ultimo: “Dickens e Prince”, che già dal titolo doveva insospettirmi, visto che né uno né l’altro dei protagonisti rientrano nel mio ideale di lettore-ascoltatore, e questo alla fine credo abbia pesato sul mio blocco.
Diciamo che un saggio sul raffronto Conrad-Jackson Browne magari mi avrebbe tenuto avvinghiato al testo più delle ottanta pagine che ho faticosamente archiviato senza trasporto, cercando di districarmi tra le due vite e le rispettive proposte artistiche. Poi, per carità, niente da dire sullo stile ed il linguaggio, che sono sempre costellati di ironia british e fluidità con pochi pari. Ma il contenuto stavolta mi è parso da subito un tantino forzato, con quella ricerca di un punto d’incontro tra lo scrittore vittoriano e il musicista pop, a cui onestamente si fatica a trovare una risposta. Almeno nelle prime ottanta pagine. Magari in quelle successive il libro si è svelato e mi sono perso un finale scoppiettante.
Però intanto ho completato le Cornici Concentriche e visto “Io sono Lillo”, che non è un granchè, se rapportato a “Oliver Twist”, “David Copperfield” e “Pickwick Papers” o “Purple Rain”, Sign o’the times” e “Dirty Mind”, ma quantomeno mi ha fatto sorridere e rilassare. Diversamente da Hornby, che già negli ultimi cinque romanzi era meno brillante e non aveva acceso il desiderio di leggerli d’un fiato. Come invece successo con i primi sei della sua feconda carriera letteraria. Aspettiamo fiduciosi il prossimo, anche se “Fever Pitch”, “About a Boy” e “High Fidelity” credo resteranno là, irraggiungibili. Come “Darkness”, “BTR” e “The River” di quell’altro lì…