Nelson George

Nelson George Funk e morte a L. A.


Jimenez Narrativa Straniera | Romanzo

26/10/2019 di Franco Bergoglio
Per Sly Stone, Rick James, Maurice White e I tanti funk gods di Los Angeles. Con una dedica iniziale così, cosa può contenere un giallo? Non può essere che un “gangsta noir”. Nelson George, che in Italia è poco noto, anche se una sua storia della Motown è stata pubblicata da Arcana alcuni anni fa, debutta qui come scrittore di mistery. Come giornalista musicale per Billboard, Rolling Stone, Village Voice e parallelamente come autore della serie Netflix The Get Down ha le carte in regola per operare su entrambi i fronti. Il titolo del libro -da solo!- sembra il romanzo noir più breve e intenso di tutti i tempi: Funk e morte a L.A.  Non mancherebbe nulla, ma per portarsi a casa la pagnotta Nelson deve venderci qualcosa e allora dietro quel titolo-romanzo ci piazza per buon peso 300 pagine fitte di groove e pistole.

 Quasi ogni singola frase propone un po’ di sano cazzeggio sulla musica. Poi ogni tanto si spara o c’è una rissa. Il protagonista è D Hunter: di mestiere fa il bdyguard per un cantante nu soul “bollito” che si trova a L.A. per la sua “rehab” in una clinica per musici drogati, ma le tentazioni nella città degli Angeli sono troppe. D Hunter è massiccio, veste un total black inquietante anche sulle spiagge di Santa Monica, gira Hollywood su una Buick Electra 225 verde del 1970, non ama le armi, deve ricordarsi di prendere regolarmente le medicine per tenere sotto controllo l’AIDS, ama la musica della sua comunità e non disdegna il sesso con donne coreano-americane (Quentin ci sei? Questo è un soggetto per te!). 

La storia sfrutta tutti gli ambienti possibili: dalle feste in piscina di Beverly Hills, ai ristoranti etnici di Downtown, dal nulla orizzontale di West Hollywood a Koreatown, dal conflitto di minoranze latini/orientali/neri di Pico Union, ai suburbi per la middle class nati nei canyon.  Mentre discute con i suoi amici su chi è il meglio della scena hip hop di L.A. la buick sfreccia ovunque. Il mistery vive di mille sottotrame. Una, in particolare, racconta del collasso della musica liquida che ha drasticamente tagliato i profitti tradizionali e arricchito le società di new economy impegnata a proporre spettacoli con artisti viventi e ologrammi di grandi glorie del passato. Dr. Funk potrebbe dividere il palco con Elvis o Tupac o persino John Coltrane. Possiamo mixare la loro musica con questi ologrammi e creare una formazione da sogno. Le possibilità sono infinite, così come le opportunità finanziarie, dice uno dei personaggi del libro.

Ragazzi, con ingredienti del genere è semplice farsene per un tot di pagine. I capitoli sono brevi, quasi come le comunicazioni via facebook tra i personaggi. Mixtape scomparsi, video che diventano virali su you tube, neri scacciati da latinos e coreani, sullo sfondo le lotte tra gang.  Ora qualche chicca. Come sempre nei noir quando lo scrittore si stufa di piombo&sangue, ha 2 strade: 1) la scena di sesso. (E qui Nelson tratta il suo robusto personaggio con insolita delicatezze); 2) parlare a ruota di musica. Tutto succede come se leggessimo con le cuffie alle orecchie. Scelgo un inciso, quasi una definizione da manuale di storia della musica: un attento esame del funk non può non evidenziare come questo grande movimento della black music unisse grinta alla James Brown, escapismo hippie, religiosità orientale, libera circolazione delle droghe psichedeliche, nascente nazionalismo nero e arrangiamenti fiatistici orchestrali, e tutto questo ne faceva un fenomeno culturale unico. Era musica eccentrica, ottimista, spirituale, arrabbiata, stralunata, politicizzata e consapevole fatta da gruppi guidati da figure carismatiche che tenevano incollata una comunità di musicisti e creativi (stilisti, grafici, sciamani). Sly Stone, Maurice White, George Clinton, sono tutti celebrati come leader, catalizzatori, innovatori e sognator  (P.71).

E appena dopo a chiudere l’elenco arriva Sun Ra. Ci sono dialoghi divertentissimi dove si parla del flow dei migliori MC e dell’uso massiccio di autotune che fanno i cantanti. Il centro musicale del libro è per la scena hip hop, si fanno elenchi dei migliori, si parla di Westside Connection, Snoop Dogg, Kendrik Lamar, Lil Wayne, Tupac,  Rick Ross, Drake, Mack 10, Pharcyde, The Game, Ice Cube, A Tribe Called Quest. Si cita una chiccha della scena di LA con l’etichetta Stones Throw (J Dilla, MF Doom, Madlib). Si parla dei nuovi nomi del giro: Dam Funk, Kamasi Washington, Terrace Martin, Thundercat.

Entro anch’io nella diatriba: il titolo del libro gioca con con To Live and Die in L.A.  di 2PAC. E 2PAC non è niente male: reminescenze Funkadelic/Arrested Development. Se invece per le vostre feste vi piace avere uno sfondo Blue Note style cercate in rete Madlib e buon divertimento. Se vi piace stare ancora più vicini al jazz ascoltate Terrace Martin con Robert Glasper, se volete viaggiare con suoni cosmico-deprimenti mettete in cuffia MNDSGN.

E comunque il libro sprizza tutta la black music possibile dal delta blues di Robert Johnson al soul improponibile di Barbara Lewis, dai classici P-Funk, al dimenticato Rick James. (Secondo me la sfiga di Rick è stata di essere quella gran testa di C**** che fu in vita Rick James, mentre di fronte a lui si ergeva -come uno zombie di Romero- l’epica figura di Prince. Tu che ne dici D Hunter?). D Hunter annuisce, lui ascolta tutto. Incipit del capitolo 42: In autostrada verso Lancaster, D accese la radio e trovò del jazz, felice di ascoltare Good Bye Pork Pie Hat di Charles Mingus dopo un pomeriggio di musica trap ed electrobeat. L’autoradio è una costante di chi vive in macchina sulle strade della California, in un turnaround continuo intorno alla Città degli Angeli. Qualche volta si sintonizza sulle note del r&b old school (per come lo intendono loro: drum machine, basso slap, sintetizzatori anfetaminici e coretti anni Settanta/Ottanta). One Way, Bar Keys, Lakeside, i War di Slippin’ Into Darkness. Se non conoscete i War e questa canzone il prezzo del libro vale questo singolo consiglio.  La black music è the changing same, spiegava saggiamente Amiri Baraka. Un mix di tutto. Fate vostro il messaggio e datevi una regolata o vi mando D Hunter.