Mark Twain Uno yankee alla corte di re Artu'
Mondadori-De Agostini, 1989, £ 11000
di Simona
Romanzo al di fuori della letteratura per ragazzi per la quale Twain è celebre, Uno yankee alla corte di re Artù racconta la storia di Hank Morgan - il più yankee degli yankees: nato a Hartford, nello stato del Connecticut- il quale, in seguito ad una botta in testa rimediata durante un diverbio, si ritrova inspiegabilmente catapultato nelle mitica Camelot, sotto il regno del leggendario re britannico Artù. Ma Hank, che è dotato di grande abilità manuale ed è costruttore di armi e macchinari di ogni genere, in qualità di cittadino democratico, pratico e diretto non prova alcuna soggezione al cospetto di dame e cavalieri, aristocratici e presunti eroi. Infatti per lui Lancillotto, Tristano o Sagramor non sono che ridicoli cialtroni che si fanno strada a forza di menzogne e pregiudizi immotivati, e per quanto Hank possa provare una certa stima per il re, di certo si fa beffe del suo presunto diritto divino a governare. Così, tra periperzie e avventure di ogni tipo, abilmente il nostro simpatico americano riesce a farsi largo nell'arcaica società di Camelot costruendosi la fama di mago potentissimo -attirandosi così l'ostilità di Merlino- prevedendo eclissi, costruendo linee telegrafiche e applicando la tecnologia del diciannovesimo secolo al sesto secolo, lasciando in questo modo a bocca aperta gli insigni abitanti di allora di fronte a un abisso di tredici secoli. Hank Morgan deride costantemente l'arretratezza degli antichi britannici e inveisce contro la sporcizia, i soprusi nei confronti dei poveri, la violenza e i saccheggi, e propone agli illustri zoticoni del passato, forte della sua superiore conoscenza, rimedi pratici per migliorare la vita della gente. Ma allora, qual è il "messaggio"? Potrebbe sembrare che l'autore proponga Hank Morgan, prototipo della civlità americana, come il portatore dei migliori tra i valori possibili ma sin dal 1889, anno di pubblicazione del libro, Twain aveva già presente alcune delle contraddizioni del Grande Paese. In realtà l'autore non mette in scena la superiorità americana nei confronti della vecchia Europa e non si limita neppure ad un confronto fra i mali del passato e le conquiste della modernità, ma esibisce una critica pungente contro il materialismo dello yankee. Infatti dopotutto ogni rimedio proposto da Hank non punta a un miglioramento sostanziale della vita dell'uomo, non va oltre la superficie e si limita a rendere più efficiente e pratica la sua esistenza da un punto di vista esclusivamente materiale: non propone soluzioni per migliorare la convivenza civile né combatte l'arroganza dei ricchi verso i poveri. Così, quando il nostro yankee alla fine si ritroverà in patria, la sua sarcastica superficilità e la mancanza di una riflessione profonda su tutto ciò che aveva visto e sperimentato lo renderanno incapace di gestire una simile esperienza. Il tocco di M. Twain (uno dei maestri della letteratura americana per Hemingway) rende il libro leggibilissimo e assai godibile, fantasioso e non consueto, allegro eppure appassionato.