Hans Fallada

Hans Fallada Il bevitore


Castelvecchi, 2017 Narrativa Straniera | Romanzo

19/09/2017 di Corrado Ori Tanzi
La discesa avviene senza avviso. E non è che si faccia riconoscere così a prima vista. Più che di maquillage professionale del carnefice si tratta di miopia personale della vittima. Come quella che ha condotto Erwin Sommer, sposato con Magda, titolare di un’azienda di prodotti agricoli, a un girone infernale che, passo dopo passo, non trova fine.

Un po’ per i problemi legati al lavoro, un po’ per i rapporti tesi con la consorte, Erwin prova a tuffarsi dentro un bicchiere di acquavite. Acquavite, un bellissimo nome che fa tanto abbraccio della natura, ma che lega a sé come il superalcolico più pericoloso. Erwin ha il destino segnato: incomincia con le bugie alla moglie per bere, passa alla sottrazione del denaro in cassa, quindi si accorge quanto sia diventato incapace di tenersi lontano da truffe e aggressioni di gente permale. Arriva la prigione, quindi l’internamento. La fine è nota.

Scritto nel 1944 (ma pubblicato postumo nel 1950) quando il suo autore, Hans Fallada, stava scontando ad Altstrelitz una pena di tre anni e mezzo proprio per un presunto attentato alla vita della moglie avvenuto per alcolismo, Il bevitore è un intimo quanto esplicito (auto)ritratto di un dannato e della sua maledizione. Narrazione fluida, limitrofa al racconto orale, scrittura essenziale privilegio del grande scrittore.

Portatore di un comportamento che gli valse l’attenzione della Gestapo e autore di autentiche perle come Ognuno muore solo (romanzo che Primo Levi definì il più grande libro sulla resistenza tedesca al nazismo), Nel mio paese straniero e E adesso, pover’uomo?, Fallada ebbe nel realismo (coniugato al tempo come “nuova oggettività”) il tratto primo della sua attività letteraria.

Bisogna essere degli scrittori autentici per trasformare la realtà in uno sguardo artistico, stando attenti a non inciampare nelle infinite buche didascaliche ed evitando di inviare cartoline di auguri da fotoromanzo. Il senso del tragico, alimentato anche da una autobiografia per niente da “uomo senza qualità”, aiutò Fallada (il cui vero nome era Rudolf Ditzen) a fare della strada (e del tempo che la rivestiva) la grande Madre ispiratrice per poterci lasciare libri di una bellezza unica e conclamata, anche se la fama che avrebbe accompagnato il suo autore non sarebbe stata certo quella imperitura di tanti suoi antenati e contemporanei.

Benemerite quindi la Sellerio prima e la Castelvecchi ora per aver operato come vere case editrici, offrendoci una proposta di elevato profilo artistico. La nostra mente ringrazia sentitamente.

 

Hans Fallada, Il bevitore, Castelvecchi, pagg. 288, euro 18,50

Corrado Ori Tanzi

https://8thofmay.wordpress.com