Gordiano Lupi

Gordiano Lupi Un’isola a passo di son


2004, BASTOGI

di Christian Verzeletti
Negli ultimi anni la musica cubana è salita alla ribalta tanto nelle classifiche di vendita quanto in quelle di preferenza degli appassionati: nel primo caso il successo è dovuto alla diffusione della salsa in formato commerciale, mentre nel secondo ad un ritorno di attenzione verso le sue forme più tradizionali avviato dal film di Wim Wenders “Buena Vista Social Club” e dall’omonima colonna sonora di Ry Cooder. In entrambi i casi, però, si è prodotta una generalizzazione che, solo in parte e nel migliore dei casi, ha portato ad reale approfondimento: anche la visibilità ottenuta da artisti come Compay Segundo, Ibrahim Ferrer e Omara Portuondo non è riuscita a distogliere quello sguardo da turista di cui l’isola da tempo si nutre fino alla dipendenza.
Non si può quindi che apprezzare il lavoro svolto da Gordiano Lupi che, proprio prendendo spunto da un soggiorno feriale nel più classico dei villaggi turistici, compie un excursus sulla musica cubana a partire dalla fine del 1800. Nell’arco di centotrenta pagine e di oltre un secolo di storia, l’autore usa l’espediente del(l’insolito) turista curioso per dare spazio un patrimonio troppo poco riconosciuto e per portare la propria critica ad un sistema che, lasciandosi sfruttare, rischia di veder svanire la sua più grande caratteristica, ovvero quella del sincrestismo culturale/musicale.
Più che una penna da scrittore, Lupi dispone di una vorace passione e grazie a questa “Un’isola a passo di son” si rivela un aggiornamento e anche uno stimolo per chiunque sia sinceramente interessato alla musica e all’essere cubani.
La prima parte del libro si concentra sulle origini, ovvero sulla formazione di forme quali l’habanera, il son, il danzon, la rumba e il mambo, sottolineando come ognuno di questi stili abbia una propria specificità, pur attingendo ad un’amalgama di suoni, strumenti e melodie diverse. I capitoli seguono le lezioni di un bravo animatore e fanno intuire come il sincretismo sia caratteristica distintiva della musica cubana, tanto quanto lo è la pelle mulatta del suo popolo.
Questa contaminazione e questa coscienza si ritrovano anche quando, passando attraverso la rivoluzione e movimenti come il “filin”, la canzone assume forme più impegnate. Lupi tocca poi gli scottanti problemi delle ingerenze e delle appropriazioni americane, portando ad esempio il caso della nota “Guantanamera”, e arriva a far emergere la disillusione del “periodo speciale” tuttora in corso. Approssimativi sono invece i parallelismi con il rock e la musica italiana, materie che l’autore non maneggia a fondo (“noi una nostra musica popolare non ce l’abbiamo mai avuta e come sempre beviamo quel che viene da fuori”), ma si tratta di giudizi comprensibili, dettati da constatazioni amare di chi vede l’oggetto del proprio amore continuamente trascurato e travisato.
“Un’isola a passo di son” è un testo da consigliare a chi tiene quest’isola nel cuore e nei propri programmi di viaggio, ma soprattutto a quanti ritengono più o meno consciamente che la sua musica equivalga alla salsa o al Buena Vista Social Club.