
Giorgio Rimondi L`invasione degli Afronauti - ASTRONAVI NARRATIVE DI INIZIO MILLENNIO. AFROFUTURISMO: DALLA MUSICA JAZZ ALLA FANTASCIENZA NERA, E OLTRE
Shake Edizioni, 2021, pp. 240, 18 euro Saggi | Musica
10/11/2022 di Franco Bergoglio
Fu solo nel 1994 che Mark Dery, conducendo un’intervista con lo scrittore di science fiction Samuel R. Delany, coniò il termine afrofuturismo e da lì tutto a ritroso sarebbe diventato chiaro (anche retroattivamente). Questo è esattamente il percorso che ci propone lo studioso Giorgio Rimondi per affrontare il mondo degli afronauti, ben dentro la prima parte del Novecento, quando anche solo la Luna appariva un astro inviolabile.
L'invasione degli Afronauti parte con un sermone, quello del reverendo Andrew Nix che declama a tutta forza The White Flyer to Heaven. La voce graffiante e l’incedere impetuoso ricordano Blind Willie Johnson che, per capirci, è quel bluesman in missione per conto di Dio che ha composto Nobody's fault but mine; un brano in origine di musica sacra, almeno fino a quando quegli emissari del demonio, i Led Zeppelin, non hanno deciso di metterla al servizio del rock con una cover che sprigiona sentori altamente maligni. Il timorato uomo di chiesa Nix dal pulpito invoca un viaggio che dal Calvario porta allo spazio. Oltre Venere, Saturno, Urano, oltre il sole... Nix trascina il proprio uditorio a esplorare il cielo: «in nome di una speranza che per la prima volta, e forse inconsapevolmente, trasforma il ricordo angoscioso della slave ship, la nave negriera, nella promessa di una space ship interstellare».
Il razzo decolla da qui. Rimondi sceglie di iniziare il viaggio sull’afrofuturismo con il sermone di Nix del 1927 innervato di black music fino al midollo. Una volta partiti non ci si può fermare: si deve illustrare il “mito afroamericano del volo” nelle sue varianti e parlare della fantascienza scritta da autori neri. Tra molte storie Rimondi si sofferma su quella di Nichelle Nichols, il celebre tenente Uhura di Star Trek, che nell’episodio del 22 novembre 1968 Plato’s Stepchildren si lancia in effusioni con il fascinoso capitano Kirk, il primo bacio interrazziale (qui mi autocito, perché una chiave di lettura sociopolitica di quel bacio è anche nel mio saggio sulle musiche del ‘68 I giorni della musica e delle rose, Stampa Alternativa 2018).
Se Uhura rappresenta un modello alternativo per le adolescenti afroamericane, i ragazzini possono sognare sul primo supereroe nero creato dalla Marvel, Black Panther, un character che nasce nel 1966, come il partito delle Pantere nere, fondato alcuni mesi dopo. Fumetto e letteratura sono importanti ma una parte centrale del libro si occupa doverosamente delle figure emblematiche dell’afrofuturismo musicale: «l’alieno proveniente da un altro mondo (Sun Ra), il messaggero cosmico (Coltrane) e l’afronauta elettrico (Hendrix)».
Nella prima metà degli anni Sessanta riscuotevano un grande successo di pubblico il free lunare di Ornette Coleman che porta in dote, come scrive Amiri Baraka: «un fresco alito di spazio aperto. Spazio per muoversi», il misticismo interstellare delle ultime opere di John Coltrane e le cosmogonie di Sun Ra.
Sul versante rock l’astro-cowboy psichedelico solcava gli spazi grazie alla propulsione della sua chitarra. Lo strumento con il quale Jimi Hendrix: «Ha portato il rumore nel tempio della musica...» (George Clinton), perché, secondo Kodwo Eshun è stato un: «poeta del feedback cosmico».
Rimanendo in tema, il libro ha una corposa parte centrale dedicata al lavoro del cantante, compositore, produttore George
Clinton. L’analisi si sofferma in particolare sul disco Mothership connection (Casablanca Records, 1975) dei Parliament, con l’astronave cosmica in copertina che si trasforma in marchingegno da palco per gli spettacoli live. Il tutto rappresenta un chiaro messaggio di fuga dei neri dalla realtà americana. «La Mothership Connection funziona come metafora del Middle Passage: è il legame che unisce l’Africa come continente perduto all’Africa come Futuro alieno».
Alla fine, quando si chiude questo testo brulicante di informazioni, sul taccuino si trovano decine di annotazioni per fare (o ri-fare), letture e ascolti importanti. Andiamo dalla fantascienza sessantottina (Nova di Samuel R. Delany) alla fiction-non fiction (Mumbo Jumbo, di Ishmael Reed), dal fantastico (Beloved /Amatissima di Toni Morrison) alla fantasy (Octavia Butler con Kindred/Legami di sangue), cerchiamo i dischi con la furia musicale di Albert Ayler o dei Public Enemy, l’arte visiva, da Cristina De Middel a Jean-Michel Basquiat (qui va anche segnalato il proto hip hop di Beat Bop, duetto di Rammellzee e K-Rob del 1983 che vede lo zampino del pittore). Altre segnalazioni vanno a coloro che il termine lo hanno forgiato e sviluppato: da Kodwo Eshun ad Alondra Nelson. Insomma, siamo immersi in una black culture afrofuturista, tanto vale gettarsi a capofitto negli spazi infiniti.