Gaspare Palmieri Psicorock - Storie di Menti Fuori Controllo
Arcana, 2016 Saggi | Scienze | psicanalisi musica
05/09/2016 di Eliana Barlocco
Nella nostra società il pazzo è ancora stigmatizzato. Lo si allontana, lo si teme perché incapace di mantenere il controllo. E questa mancanza di controllo ci spaventa. “Ancora oggi non capita così raramente che chi soffra di malattie mentali si trovi purtroppo a essere discriminato in ambito lavorativo e sociale e sia condannato a condurre un’esistenza di isolamento……fa parte dello stigma anche una certa modalità giudicante nei confronti delle persone che soffrono di disturbi psichiatrici, come se fossero in qualche modo responsabili dei propri mali.”
Gaspare Palmieri, - psichiatra, psicoterapeuta e cantautore - attraverso l’analisi delle autobiografie di alcuni artisti e lo studio della letteratura esistente (testimonianze di amici, parenti, compagni di lavoro) cerca di ricostruire e capire il rapporto che intercorre tra la vita dell’artista, la sua mente e la sua produzione musicale. Il libro è un excursus scorrevole (poiché non specificatamente indirizzato ai soli addetti ai lavori) tra passato e presente a pescare nell’esistenza di alcuni musicisti che hanno evidentemente influenzato la scena musicale mondiale. Dai compositori classici, al be-bop, passando per Elvis fino a Cohen via Morrison, Drake, Buckley e molti ancora.
Secondo la letteratura medica una condizione mentale estrema di deriva euforica o di deriva depressiva può far scattare la condizione ideale alla creazione: “Chi raggiunge certi livelli di espressività artistica è spesso dotato di una sensibilità non comune, che spesso ha come altra faccia della medaglia una grande fragilità.”
Ora, se è vero che, la condivisione della creazione artistica determina inevitabilmente, da parte del creatore, la perdita dell’opera dal momento che l’opera viene depersonalizzata e rivestita dal fruitore della stessa; è altresì vero che, divenendo un simbolo di “disagio” collettivo, la collettività si impregna di quel aspetto dell’artista e, come una droga, tendenzialmente ne diviene assuefatta richiedendone all’artista una “dose” sempre maggiore. Pertanto quello che per il singolo-creatore rappresenta una via di fuga attraverso la condivisione, alla fine diviene un vicolo cieco alimentato e dai fans e dallo star system.
“L’esperienza musicale nella vita di queste persone, come in un caleidoscopio magico, si può trasformare da strumento espressivo catartico a trappola letale, da ancora di salvezza a condanna, da strumento di rottura con il sistema a ingranaggio dello stesso”.
L’unica mancanza di questo lavoro che si potrebbe addurre, peraltro già evidenziata dall’autore stesso, è che la maggioranza dei ritratti tracciati (essendo gli artisti passati a miglior vita) non sono in presa diretta, cioè frutto di colloqui - interviste. Molto interessanti però sono le interviste a conclusione del libro, che tracciano differenti approcci e soluzioni alla malattia. Il leitmotiv è la musica come ancora di salvezza “…il fatto di usare la musica per esprimere il dolore e le angosce è uno dei motivi per i quali noi uomini abbiamo bisogno della musica stessa”, mezzo per far conoscere la sofferenza “Il successo qui è vedere come gli spettatori siano toccati e commossi e le loro reazioni personali molto intense dopo i concerti ci dimostrano quanto siano stati coinvolti” e imparare ad accostarsi alla malattia senza più alcuna paura.