Elisabetta Cucco Vinicio capossela: un rabdomante senza requie
Auditorium 2005 Musica
di Simone Broglia
Cantautore sì, ma decisamente anomalo rispetto al panorama dei nostrani vassalli della canzone impegnata. Decisamente originale l’opera di Capossela, proiettata verso una continua ricerca sonora e letteraria.
La biografia intellettuale portata avanti dal bel testo di Elisabetta Cucco ne ripercorre le tappe: viene mantenuta la dimensione biografica, ma senza ridursi ad un pura narrazione delle vicende. Il vero e proprio centro del libro si sviluppa nell’indagine semiotica dei brani. L’autrice analizza il testo studiandone tematiche e poetica. Ne analizza il linguaggio andando in profondità con lo studio, senza limitarlo ad una noiosa analisi delle apocopi o dell’accentazione, cosa purtroppo molto frequente nell’analisi “colta” delle canzoni.
La Cucco tiene in piedi tutta l’indagine caricando di senso ogni parte della canzone caposseliano: dai temi, alla musica, alla ricerca musicale, alle vere e proprie messe in scena che Vinicio usa fare durante i suoi show, esempi sono quello al Regio di Torino e al Palalido di Milano.
“Un rabdomante senza requie” è un esempio di cosa vuol dire studiare la popular music, di come si debba condurre l’analisi del fenomeno della canzone, senza basarsi solo sulle biografie e sullo studio di tipo puramente storico-discografico; senza studiare la canzone con i parametri della poesia e la musica con i parametri della musicologia colta occidentale, cosa che molta musicologia e studi letterari hanno fatto nella convinzione che il meno (la canzone) stia nel più (musica colta o metrica poetica).
Uno dei capitoli più interessanti è quello dedicato alla musica greca, il rebetico e le danze recuperate da Capossela, di cui la Cucco analizza la storia e le caratteristiche organologiche alla luce della riutilizzazione dal cantatutore. Ciò che resta al fondo del lavoro di ricerca è la figura anomala di “un rabdomante senza requie” che mescola la poetica malinconica di Tenco, alla languidezza dei tanghi, alla danza greca e la ritualità, senza mai andare alla ricerca di un’unitarietà stilistica, ma lasciando emergere la propria firma dalla capacità di utilizzare le parole, facendo affiorare il significato dal suono del significante, sposandole essenzialmente con la musica dei versi.