Efraim Medina Reyes

Efraim Medina Reyes Cera una volta l’amore ma ho dovuto ammazzarlo


2002, FELTRINELLI

di Christian Verzeletti
“C’era una volta l’amore ma ho dovuto ammazzarlo” è un libro del 1994, dello scrittore colombiano Efraim Medina Reyes, da poco pubblicato in Italia e subito diventato anche da noi un piccolo caso letterario.
Non so quanto queste attenzioni possano contare per il suo autore e soprattutto per il suo personaggio, entrambi ansiosi di evitare etichette, letterarie o altre che siano. Forse i due godrebbero nell’essere considerati piuttosto come antiletteratura o antiromanzo, vista l’aperta opposizione esercitata, non solo in queste pagine, contro i classici sudamericani (Marquez, Vargas Llosa e Mutis sono i primi della lista nera), ma una tale definizione rientra ancora in intrighi letterari, in un dire e non dire, che a Medina Reyes ancora non compete.
“C’era una volta l’amore ma ho dovuto ammazzarlo” è la storia, impulsiva, frenetica, giovanile, forse anche autobiografica, di Rep, eroe di una generazione alla caccia di riferimenti. Il protagonista vive in bilico tra la Città Immobile e Bogotà, tra un passato segnato da un amore troncato e un futuro nutrito dalle proprie illusioni. Il presente è una serie di relazioni convulse, mitizzate, sboccate e violente, vissute come continue sfide.
In tutto questo la musica gioca un ruolo determinante, offrendo risvolti, citazioni e sfumature più di quanto possa e voglia la scrittura dell’autore: dai Sex Pistols ai Nirvana, dai Grateful Dead agli Alice in Chains, dai Ramones ai Pearl Jam, si forma un’abile colonna sonora, contestualizzata con l’insoddisfazione del libro. L’ammirazione di Rep per Syd Vicious e per il suo amore distruttivo con Nancy rimanda alla forma infantile di autodifesa del protagonista che, ferito nel cuore e nella virilità, sceglie di uccidere l’amore per salvare il suo io (“un uomo non deve mai uccidere il reale, ma l’astratto”).
L’idea di una storia nichilista e sfrontata, colma di sesso e di musica, non è comunque nuova, anzi, è piuttosto risaputa, ma Medina Reyes evita di essere piacioso e adolescenziale, come volentieri capita a chi scrive romanzi intarsiati di rock, forse immaginandoli ad uso esclusivo di un pubblico giovanile. Pur facendo riferimento a figure abusate come quella di Kurt Cobain, Reyes riesce a rendere con efficacia l’inquietudine che lo anima: l’irriverenza e la velocità della sua scrittura sono tanto a tempo con la musica, da essere pregio e difetto del libro.
Proprio come il protagonista che sogna di vivere a New York, “C’era una volta l’amore ma ho dovuto ammazzarlo” è un romanzo scritto con la mente nella Grande Mela. Se è vero che il rifiuto della letteratura sudamericana rientra nella logica di Rep, per il suo autore invece finisce per suonare come un istintivo rancore nei confronti della generazione paterna.
Alla fine personaggio e libro vivono su piani paralleli, con gli stessi limiti e le stesse incapacità, ma è proprio questo a renderli credibili e interessanti: “non è come se sapessi fare qualcosa, ma ho un mio modo personale di non saperlo fare”.