Edith Wharton

Edith Wharton Ethan frome


Mondolibro, 1995, € 4,65

di Simona
Un uomo, il narratore, per alcuni giorni si deve intrattenere per lavoro in un piccolo villaggio del New England, negli Stati Uniti. Fra quella gente dura abituata al lavoro all’aperto, rimane colpito sin dal primo sguardo da un uomo taciturno come nessun altro e, soprattutto, dall’espressione indicibile che assume il suo viso quando pensa che nessuno lo guardi. Così incuriosito, e non senza superare una certa reticenza tra gli abitanti del villaggio che è quasi pudore, egli riuscirà a ricostruire la storia terribile dell’uomo che l’ha tanto colpito, di nome Ethan Frome. Quella che scopre non è che una storia di sofferenza, di un amore infelice, e ancora di sofferenza. Niente di particolarmente anomalo, tutto sommato: un destino sfortunato, una vita disgraziata, certo, ma forse non tale da giustificare il sottotitolo assegnato al romanzo: “un caso terribile”. Ebbene, un simile sottotitolo rappresenta quasi una minaccia o, meglio, una promessa, e legittima il lettore a crearsi delle aspettative. In effetti però sembra che esse possano essere appagate perché la piccola storia di Ethan Frome è “tanto micidiale da tramutarsi in una specie di tragedia greca”. Fin dall’inizio risaltano il gelo e il freddo che pervadono la campagna americana; un gelo che è anche interno ai protagonisti i quali risultano come imprigionati nella convenzionale routine contadina, senza pulsioni, e cristallizzati in una esistenza che ha conosciuto solo aspirazioni irrisolte, sorda sofferenza e malattia. La trama è davvero scarna ma non manca di un colpo di scena, proprio nel finale. I personaggi sono estremamente caratterizzati, agiscono poco e parlano poco, e tuttavia emerge in modo straordinario l’indole di ciascuno: l’ottusità rapace di Zeena, la giovane angoscia di Mattie, la fatale irresolutezza di Ethan. Il romanzo è breve e si susseguono poche scene: Ethan che va a prendere Mattie alla festa, Zeena che si reca in città, il ricordo di un giorno d’estate, un piatto rotto, il ritorno di Zeena, la partenza di Mattie, l’incidente. La narrazione è estremamente asciutta, non sono quasi forniti commenti e, già dopo poche pagine, il niveo livore che permea le pagine del libro suggerisce l’avvicinarsi della tragedia, ineluttabile come tutte le tragedie. Così il dramma si compie, la sofferenza sorda si tramuta in aperto dolore e tuttavia, alla fine, ciò che davvero colpisce profondamente non è tanto la forza annichilente della disgrazia, quanto la genuina pietà espressa dai due personaggi comprimari che chiudono il libro. Una simpatia umana per queste esistenze, per questo caso terribile, che pare comunicarsi a tutti gli uomini in balia di un fato che, talvolta, terribile lo è davvero.

“…Ci andavo spessissimo dopo la disgrazia, quando ero appena sposata; ma dopo un po’ ho cominciato a pensare che vederci li faceva stare peggio. E poi, tra una cosa e l’altra, e i miei stessi problemi…In genere però riesco ad andarci intorno a Capodanno e una volta in estate. Solo che cerco sempre di scegliere un giorno quanto Ethan è in giro da qualche parte. E’ già brutto vedere le due donne che se ne stanno lì sedute – ma il viso di lui, quando si guarda intorno in quel luogo spoglio, mi fa proprio morire…”