Camilo Jose` Cela

Camilo Jose` Cela Padiglione di riposo


Utopia editore, Collana Letteraria Europea, traduzione di Antonio Bertolotti, 144 pagine, 18 euro Narrativa Straniera | Romanzo

09/10/2024 di Laura Bianchi

Chi avesse letto lo splendido Inverno di un malato, di Moravia, o La montagna incantata, di Mann, potrebbe trovare alcune analogie con l'atmosfera disegnata dal Nobel spagnolo Camilo José Cela in Padiglione di riposo (Pabellón de reposo), che segue di un anno il grande successo d'esordio La famiglia di Pascual Duarte (1942), ora ripubblicato da Utopia con la nuova traduzione di Antonio Bertolotti; eppure, Cela è maestro nel creare un'opera originale da un tema spesso affrontato: la malattia, e l'esclusione che ne deriva.

L'autore, erede di Unamuno e fondatore del romanzo realista spagnolo, crea una singolare mescolanza tra immaginazione e realtà, collocando in uno spazio disincarnato il sanatorio e i suoi ospiti, di cui tratteggia situazioni ed esistenze. Lo stesso Cela comunica il proprio desiderio di " svincolare il dato contingente dal tempo che lo soffoca e dallo spazio che lo imprigiona", e riesce perfettamente nel proprio intento: non sappiamo né dove, né quando si svolgono le vicende - che potremmo meglio definire "riflessioni su chaises longues" - e non conosciamo i nomi dei degenti, eppure possiamo vederli, localizzarli, capirne lo scorrere del tempo, immaginarne pensieri e forme, anche attraverso lo sguardo dei loro compagni di sventura. "La signorina della 37 è un’entelechia, quella della 40 un vuoto, quella della 103 un’ombra che va sfumando. Il malato della 14 è una mera apparenza, quello della 52 un simulacro, quello dell’11 una finzione. Tutto è artificio, traccia – come diceva don Chisciotte – dei maligni fantasmi che mi perseguitano". Ed empatizziamo con loro, perché, in definitiva, sappiamo che la loro sorte, così certa ed esplicita nel loro caso, è comunque quella di tutti, anche se qualcuno fa tacere questo pensiero, credendosi eterno.

È disturbante e insieme illuminante leggere pensieri come "La morte chiama, a uno a uno, tutti gli uomini e tutte le donne, senza dimenticarsene nemmeno uno - Dio, che memoria fatale! - e quelli di noi che in un certo momento stanno volando, o saltando di buca in buca come farfalle o gazzelle, non arrivano a credere che un giorno il suo crudele disegno riguarderà anche loro." Disturbante, perché la verità ferisce; illuminante, perché ritroviamo, nella loro umanità, nella loro disincantata voglia di vivere e amare fino all'ultimo, un po' della nostra umanità perduta, quella che ci fa tornare a essere solidali, partecipi dei dolori altrui, desiderosi di vivere e amare fino all'ultimo, anche noi.

La scrittura di Cela ci accompagna, con polso fermo, attraverso quei corpi sofferenti, tra emottisi e svenimenti, parlando con i loro corpi, dicendoci quanto una volontà - chiamiamola così, per non parlare di anima - possa essere superiore al corpo, e quanto, mentre questo si disfa e cede, quella possa elevarsi alta, elaborando pensieri e sogni forse inutili all'esistenza biologica, ma certamente ricchi di senso per quella psicologica, e per noi.

Libro difficile da dimenticare. Una sferzata di lucida e consapevole energia.



Camilo José Cela (Iria-Flavia, Galizia, 1916 - Madrid 2002) scrittore spagnolo, vincitore del Premio Nobel nel 1989. La sua vasta produzione letteraria comprende tutti i generi, dal romanzo al racconto, dalla cronaca giornalistica a quella di viaggio, dal teatro alla poesia. Con il suo romanzo più importante, La famiglia di Pascual Duarte (La familia de Pascual Duarte, 1942) ha determinato la rinascita del romanzo spagnolo d’impronta realista, ribadita poi con L’alveare (La colmena, 1951), storia della gente di un grande casamento di Madrid.