Arthur Phillips

Arthur Phillips L’archeologo


Milano, Rizzoli 2004 Letteratura Straniera | Romanzo

di Luca Meneghel
“L’Archeologo” di Arthur Phillips, giovane promessa letteraria statunitense già autore di “Prague”, bestseller d’esordio tradotto in sette lingue (non in italiano) che ha riscosso l’unanime consenso della critica mondiale, è vittima di un equivoco di fondo. Da una parte ci sta la critica militante, che l’ha accolto con parole d’elogio: per Newsweek “l’eleganza e la maestria dei grandi gialli del passato rivivono finalmente grazie al talento di Arthur Phillips”, per Publisher Weekly il romanzo “avvince e sorprende il lettore a ogni pagina”, per Booklist è “un romanzo costruito ad arte”, per Mattew Pearl (autore de “Il Circolo Dante”) è “raffinato, originale, astuto … assolutamente sorprendente”. Dall’altra parte ci sta invece l’accoglienza dei lettori italiani, la maggior parte dei quali (prendendo come oggetto d’indagine i commenti lasciati sulle principali librerie online) lo trovano “noioso”, “una delusione” e chi più ne ha più ne metta. Credo che la soluzione alla querelle tra pubblico e critica sia rintracciabile nella strategia editoriale perseguita dalla casa editrice Rizzoli: l’imponente campagna pubblicitaria che ha accompagnato la pubblicazione dell’opera lo ha probabilmente fatto accostare agli utenti a libri quali “Il Codice Da Vinci” o “Angeli e Demoni”, insomma a quei libri oggi tanto di moda che rispondono al nome di “thriller storici”, spesso incuranti delle regole della buona narrativa e della correttezza degli eventi narrati.
Per “L’Archeologo” la questione è diversa: possiamo sì chiamarlo thriller storico, ma in questo caso ci troviamo di fronte ad un autore dotato che fa sapiente uso delle tecniche narrative atte anche a soddisfare quelle che possiamo definire “esigenze estetiche”; non solo avvenimenti avvincenti dunque, ma avvenimenti narrati con la penna di un romanziere di qualità. È evidente allora che chi cerca in quest’opera quello che ha trovato ne “Il Codice da Vinci” di Brown, il quale predilige l’intrattenimento puro alla valenza estetica, non può che rimanere deluso o perlomeno annoiato.
Boston, Egitto, Sidney; 1922, 1954; un archeologo, un finanziatore, uno studente scomparso, una bella ragazza, un misterioso faraone della tredicesima dinastia. Questi sono solo alcuni degli ingredienti che Phillips ha messo nel calderone delle sue pagine: molti, moltissimi sono gli elementi che l’autore si è trovato a dover fare girare nella maniera corretta per dare linearità al testo.
Ci troviamo così di fronte a due epoche, il 1922 nel quale un giovane archeologo va alla caccia della tomba di un faraone, Athum-Adu, incontrando milioni di difficoltà sulla propria strada e facendo i conti con le diverse facce della personalità umana, e il 1954 in cui un investigatore che aveva seguito le vicende (ovviamente non vi dico perché) fa il suo resoconto al nipote della promessa sposa dell’archeologo, appena scomparsa. Complicato? Apparentemente lo è, molto, ma qui interviene la capacità narrativa dell’autore: la narrazione su due piani è perfetta, entrambi corrono parallelamente al dispiegamento (totale?) della verità; le forme d’epressione scelte sono quelle “classiche” del diario per l’archeologo e della lettera per l’investigatore, i due grandi narratori del romanzo. Ma, volendo, si possono trovare molte altre strade, molte altre storie nella storia: Ralph M. Trilipush traduce e scrive sul suo diario il significato dei geroglifici che incontra e questo ci permette di seguire le vicende degli ultimi anni del regno del faraone tanto cercato; Harol Ferrel, durante le sue investigazioni, si innamora a sua volta della promessa sposa di Ralph e ci racconta le vicende del corteggiamento e dell’amore in quel di Boston; e così via, tante microstorie di fianco a quella principale, dalla tinta indubbiamente “gialla”.
Tornando al discorso iniziale, i destinatari di questo lavoro non sono coloro che cercano semplicemente uno svago estivo sotto l’ombrellone: il caldo supportato dalla descrizione della tomba di Athum-Adu potrebbe essere fatale per tutti coloro che non amano particolarmente la narrativa anche esteticamente. Lo apprezzeranno coloro che sanno stupirsi di fronte a quello che la scrittura permette di fare, di fronte ai mondi che permette di costruire, di fronte ai viaggi nel tempo che sa farci intraprendere semplicemente girando pagina e cambiando punto di vista.
Phillips è un romanziere di razza e, c’è da giurarci, presto anche in Italia potremo finalmente leggere il suo tanto atteso romanzo d’esordio.


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