Se il gran bel film di Todd Haynes “Io non sono qui” - “ispirato alle canzoni e alle molte vite di Bob Dylan”, come si legge nei titoli di coda – ha avuto l’approvazione del menestrello di Duluth in persona, allora possiamo esser certi di trovarci dinanzi ad un’opera molto diversa dalle solite e melense biografie in salsa hollywoodiana. Inafferrabile quanto basta per dirsi a immagine e somiglianza del mitico Robert Zimmerman, in arte Bob Dylan. E se ci vogliono la bellezza di sei personaggi diversi per tratteggiarne vita morte e miracoli (musicali), allora lo spettacolo in sala è garantito. A tratti documentaristico, con un ottimo assortimento di canzoni inserite alla perfezione negli spezzoni della vita di Dylan, ci imbattiamo nel corso del film in Woody, undicenne ragazzo di colore sempre in fuga; in Robbie (Heath Ledger), giovane attore di successo; in Jude (una perfetta Cate Blanchett), ambigua rockstar anticonformista; in John/Jake (Christian Bale), stella della folk music che si converte alla religione; in Billy (Richard Gere), famoso fuorilegge che, ormai vecchio, riesce a scappare di prigione e girare per il mondo con la sua chitarra. E, dulcis in fundo, come una ciliegina sulla torta, abbiamo anche Dylan defunto. Ebbene sì: vediamo a un certo punto il corpo di Jude/Cate Blanchett disteso privo di vita dentro una bara. Come dire: l’artista per eccellenza ha più vite di un gatto, muore e rinasce ogni volta, reinventandosi all’infinito, come infinito ci sembra il “Neverending tour” che ormai da anni porta ancora in giro per il mondo il leggendario cantautore del Minnesota. E così nel finale ascoltiamo estasiati la confessione a cuore aperto di uno dei tanti Bob Dylan (in questo caso Billy/Richard Gere) che ci dice: “Per quanto mi riguarda, non lo so. Posso cambiare nell’arco di una stessa giornata. Quando mi sveglio sono una persona, e quando vado a dormire so con certezza di essere qualcun altro. Per la maggior parte del tempo, non so chi sono”.