Quando si sente assordante la sirena di un auto della polizia, proprio all’inizio del film, si intravede allora il volto sanguinante di Al Pacino, alias Serpico, con una barba che lo farà subito entrare, di lì a poco, nell’immaginario di tanti cinefili, che difficilmente avrebbero dimenticato la sua superba interpretazione. Stiamo parlando di “Serpico”, film diretto nel 1973 da Sidney Lumet, pellicola che, almeno una volta nella vita, un amante della settima arte dovrebbe vedere. Basta una telefonata alla centrale per informare della sparatoria ai danni di Frank Serpico, giovane poliziotto italoamericano di New York, e la notizia subito inizia a circolare. “Sai che hanno sparato a Serpico?”, dice un agente ad un suo collega; e l’altro, “Gli ha sparato un poliziotto?”; e il primo, “Ce n’erano almeno sei pronti a farlo”. Ma com’è possibile? Nella vita (vera) di Frank Serpico tutto è stato possibile, anche la morte sfuggita per poco. E il film di Lumet ce la racconta in flashback, dal momento della sparatoria, ripercorrendo le tappe di un’esistenza che pian piano diventerà un inferno. Arruolatosi in polizia credendo di trovarvi abnegazione e spirito del dovere, ben presto s’imbatterà nella strisciante corruzione dei suoi colleghi. E di lì avranno inizio le minacce, e una vita sempre più solitaria e frustrante, soprattutto quando sei il solo (o quasi) a non accettare le mazzette dagli spacciatori. Come fare, allora? Serpico decide così di scendere in strada, in mezzo ai criminali, per mimetizzarsi al fine di condurre al meglio la sua personale battaglia alla criminalità (dentro e fuori la polizia). E con barba incolta, oppure a volte con baffi lunghi e aspetto da perfetto hippy, si infiltra nei bassifondi di una New York particolarmente “sporca”. Ma i vani tentativi di rivolgersi ai suoi superiori, lo convinceranno che la sfida alla corruzione della polizia necessità di una dura denuncia, questa volta però all’esterno della stretta cerchia di colpevoli complicità ed omissioni. Così decide di rivolgersi alla stampa, e lo scandalo scoppierà con non poco clamore. Tratto da una storia vera, dunque – con il vero Frank Serpico costretto, dopo aver testimoniato nel 1971 davanti alla Commissione Knapp, a rifugiarsi in Svizzera, lontano da possibili vendette – e con un Al Pacino in stato di grazia come non mai. A volte alcuni film si identificano alla perfezione nell’attore protagonista, e viceversa, tanto da perdere molto senza quell’attore: è proprio il caso di “Serpico”. E questo non è poco.
(Re-Visione scritta nel settembre 2007)