Sean Baker

Commedia

Sean Baker Anora


2024 » RECENSIONE | Commedia | Drammatico
Con Mikey Madison, Mark Ejdel`stejn, Jurij Borisov, Karenn Karagulian, Vace T`ovmasyan



23/11/2024 di Autori vari
Un film premiato a Cannes con la Palma d'Oro 2024 non può che essere oggetto di riflessione e di discussione. Ancora più se racconta una storia che sembra paradossale e grottesca, ma che rivela, nemmeno troppo nascostamente, una precisa intenzione espressiva, polemica e sociale, oltre che artistica. Così, abbiamo pensato a un confronto tra due punti di vista, uno maschile, uno femminile. Leggete qui...

 

Roberto Codini
Anora
ha vinto la Palma d’oro all’ultimo Festival di Cannes e questo è già per certi versi sorprendente, così come sorprendente è questo film, che è soprattutto, a mio parere, una storia d’amore, che ricorda Pretty woman, ma l'amore c'è, da parte di Ani, che vive il suo sogno, che presto diventa un incubo.
Ne nasce un film surreale, comico, con momenti davvero esilaranti, ma anche
spiazzanti. Vicino a me, al cinema, c’è seduta una ragazza, probabilmente una studentessa di cinema, che alle mie perplessità risponde: “beh, è Sean Baker!” Chapeau.
Il film diverte molto, è ben diretto e ben recitato e, nonostante la durata (più di due ore), non annoia mai e si rivela un’opera divertente e intelligente. Magari la Palma d’oro è eccessiva, ma chi può dirlo? La escort innamorata funziona, e, se è innamorata di un bamboccione russo, funziona ancora di più, perchè c’è un rampollo viziato e pieno di soldi che gioca con i sentimenti altrui. In questo film i migliori non sono i protagonisti, ma i comprimari, Toros, Igor e Garnik, semplicemente straordinari. A mio parere Karren Karagulian, che interpreta Toros, è il migliore, ma sono bravi tutti e il film funziona, diverte e sorprende.
È una cosa positiva che a essere premiato non sia stavolta un film politico come Parasite o delirante come Titane, ma una commedia. Giusto premiarlo dunque, anche se non è un capolavoro.

Laura Bianchi
Una lunga carrellata su corpi nudi di giovani donne, che si muovono sopra uomini completamente vestiti (e ci mancherebbe! ma ovvio! scherziamo?...), in uno di quei disco bar che in Svizzera chiamerebbero senza falsi pudori "locale erotico", con tanto di "privé", modo elegante per definire un'alcova provvisoria, per sesso a pagamento.
Inizia così Anora, il nuovo film del talentuosissimo Sean Baker, regista indefinibile, anarchico nel suo evitare qualsiasi posizionamento all'interno del mondo del cinema, al punto che "dramedy" risulta essere perfino limitante. Di sicuro c'è che sembra una commedia, ma non lo è, almeno, non del tutto. E certo c'è il dramma, eppure di questo non ha alcune caratteristiche, prima tra tutte la presenza della morte. Baker, che ha diretto, sceneggiato, montato e coprodotto il film, ci ha abituati a opere che sfuggono dai canoni, e ogni volta ci sorprende, precisando meglio il proprio profilo di regista davvero indipendente, che guarda con occhio critico e lucido alla società, e all'America, di oggi.

La mescolanza tra i generi evoca la fiaba, antica, Cenerentola in primis, tra l'altro evocata dalla protagonista, e cinematografica (Pretty Woman), ma la smonta, in parte la ribalta, ne ridisegna i contorni e i contesti, inserendovi la tematica del conflitto sociale, etnico e di genere, come una bomba con un timer costantemente disattivato e che viene puntualmente rimesso in circolo. Della commedia, Anora ha i tempi comici, alcune scene slapstick esilaranti, la caratterizzazione di alcuni personaggi, la caricatura dei loro accenti (i protagonisti sono russofoni, e comunicano ora nella loro lingua, ora in un improbabile inglese), un montaggio spesso frenetico, da reel di Instagram, come deve essere la parte in cui la protagonista incontra Ivan, l'erede di un magnate russo, e pensa di aver vinto la lotteria dell'ascensore sociale, tra jet privati, feste faraoniche e regali da capogiro.

Della pellicola on the road ha il ritmo, le situazioni, dalla seconda parte del racconto in poi, con incontri a volte paradossali, altre più realistici. Ma scorre sotterraneo un altro fiume, ben più eversivo e corrosivo, drammatico, ed emerge in modo carsico dai volti degli attori, magistralmente diretti, tutti in stato di grazia; non ci sorprenderebbe infatti trovare, tra le candidate all'Oscar come migliore attrice protagonista, l'intensa Mikey Madison, eroina di un'odissea di soli quindici giorni, volto prima stereotipato, nel suo perenne sorriso a uso e consumo dei clienti, poi sfatto, maschera tragica dell'abbandono e della rabbia, quando, proprio nel palazzo del principe azzurro, scopre il dolore e l'emarginazione. 
È il fiume della solitudine umana, che si incrocia sia nei nuovi arricchiti, privi di empatia e umanità, che sguazzano nei rubli diventati dollari, e pensano così di poter comprare tutto, case, droga, alcol, gioielli, corpi umani, sia nei poveri, convinti da questa società che, per essere, occorra soprattutto avere, e che, in assenza di denaro, occorra vendere se stessi, trattando il prezzo dell'unica ricchezza che possiedono, il tempo.

È un film, anche, femminista, ed è forse per questo che la presidente della giuria di Cannes, Greta Gerwig, ha voluto premiarlo: diretto da un uomo, Anora traccia un punto di svolta nel rapporto tra cinema che tratta la questione di genere e la sua fruizione, poiché manifesta la possibilità di una terza via, nel delineare, in Anora detta Ani, una psicologia complessa, si direbbe di un'antieroina. La giovane donna, a ventitré anni, ha visto abbastanza del mondo e della vita per essere il contrario della Cenerentola di cui si parlava prima; Ani è vendicativa, vorace, violenta quando serve, sboccata, avida e spregiudicata, quando si tratta di capitalizzare e monetizzare la propria bellezza, consapevole che sta per andarsene per sempre; ma il suo sguardo si fa inesorabilmente più duro e insieme indifeso, quando scopre dentro di sé un valore che non è negoziabile, la propria dignità. A quel punto, le scelte che si aprono davanti a lei sono molteplici, e Baker è geniale a farci diventare complici della protagonista, e comprenderla totalmente, fino a commuoverci, in un finale silenzioso, profondo e denso di simboli, che non deve essere svelato, ma solo vissuto con il cuore e non solo con gli occhi.

Al risultato complessivo contribuiscono altri importanti fattori: l'uso della cinepresa è totalmente al servizio del ritmo che il regista vuole imprimere alle diverse fasi della vicenda (il film è girato in 35mm con lenti anamorfiche, che aggiungono distorsione, tolgono luminosità e creano spesso un effetto panoramico). La fotografia vuole fare emergere in secondo piano alcuni dettagli, per suggerirne l'importanza futura; per capirlo, basta osservare gli interni, da chi sono popolati, o seguire il tirapiedi Igor, interpretato dall'intenso Jurij Borisov. l dialoghi, al di là dell'effetto macchiettistico a livello linguistico, sottolineano la povertà di valori di cui alcuni protagonisti sono portatori, mentre le luci, e i chiaroscuri, sembrano costituire un altro personaggio, tanto partecipano alla costruzione del senso. Ad accrescere questi effetti, da segnalare è anche la scelta delle location, da Coney Island a Las Vegas, fino alle due facce di Brooklyn: quella della povera stanza di Anora e quella della magione del ricco russo Ivan, a Mill Basin, villa autentica, di proprietà di un magnate russo.
Ma a segnare definitivamente la cifra del film di Baker è la colonna sonora, composta da canzoni vintage, che sembrano costituire l'antifrasi di quanto viene raccontato, tra i Take That di Greatest Day e All the Things She Said delle t.A.T.u., anche se il vero asse portante sonoro è Dreaming di Blondie. Il testo descrive appieno lo spirito dell'opera, e della sua indimenticabile protagonista: "I sit by and watch the traffic go Imagine something of your very own Something you can have and hold I'd build a road in gold just to have some Dreamin', dreamin' is free".

In un mondo in cui tutto ha un prezzo, forse, solo sognare è gratis.