Fede Alvarez Alien: Romulus
2024 » RECENSIONE | Fantascienza | Thriller
Con Cailee Spaeny, David Jonsson, Archie Renaux, Isabela Merced
16/08/2024 di Roberto Codini
Alien è stato tante cose. È stato un film dell’orrore ambientato nello spazio, ma soprattutto un simbolo. Perchè non c’è solo E.T., non c'è nemmeno il buffo marziano di Mars Attacks di Tim Burton, ma c'è una creatura mostruosa con la quale non si può comunicare, ma bisogna solo evitarla; gli alieni possono fare paura ,e Alien fa tanta paura, anche perchè è un alieno che non si limita a studiare il pianeta Terra, ma vuole accoppiarsi con le donne terrestri per perpetuare la specie. Può farlo, perchè c’è chi gli presta il fianco, gli uomini, con i loro esperimenti, e anche chi, per citare Rodari, sembra umano e non lo è: i sintetici, esseri artificiali dotati di linguaggio che devono seguire direttive umane.
Per Alien: Romulus, un interquel ambientato cronologicamente tra Alien (1979) e Alien - Scontro finale (1986), Ridley Scott lascia la sua creatura alla bravura di Fede Álvarez, che è anche sceneggiatore, e lo produce. Non c’è Sigourney Weaver, ma c’è, ancora una volta, una ragazzina, Rain, interpretata dalla bravissima Cailee Spaeny, che combatterà al fianco del suo “fratello” sintetico Andy.
Mezzo secolo dopo le vicende di Ripley e della Nostromo, siamo su un pianeta minerario inquinato e costantemente sull’orlo del collasso, un po' come il nostro pianeta, dove ci sono colonie aliene e ci sono le basi Romulus e Remus, con tanto di immagine della Lupa che allatta i gemelli. L’omaggio a Roma è davvero lodevole...
Il gruppo di ragazzi, tra i quali emergerà per talento e coraggio proprio Rain, decide di partire per raggiungere un pianeta più ospitale, ma dovrà fare i conti con Alien, o meglio con gli Aliens, gli alieni, che agiscono e colpiscono in gruppo. Il film è una sintesi, potremmo dire quasi un'antologia di tutti gli Alien precedenti, un prodotto a uso e consumo di tutti quelli che non hanno visto tutti i film, e il pubblico giovane sta rispondendo bene.
All’ingresso del cinema Lux di Roma, un ragazzino mi rivolge una domanda: “Lei è venuto a vedere Alien?” , e annuisco, dicendogli che mi ricordo il primo Alien, che mi fece molta paura. E il mio giovane interlocutore mi dice: “Mi scusi, se posso dire, il secondo però è più bello!”
Alien colpisce ancora. Questo è claustrofobico, non è un film perfetto, anche se diretto bene dal giovane regista uruguaiano, ma funziona, eccome. Il film prende spunto da tutti gli Alien che l’hanno preceduto: citazioni esplicite che sono in parte omaggi, ma in parte anche tentativi di restare ben dentro la scia dei maestri. In fondo è la dura legge del franchise. Álvarez ha familiarità con l’horror, si vede, e riesce a dirigere un ottimo film con una storia essenziale senza grossi colpi di scena, un già visto ben riuscito, un omaggio che è un regalo per gli amanti del genere e un invito per i giovani che vogliono conoscere gli Aliens.
Ridley Scott, attraverso questo film diretto da Álvarez, ci dimostra che per fare qualcosa di nuovo bisogna tornare al passato: così come avviene con la musica, in un momento nel quale nelle discoteche i ventenni ballano le canzoni degli anni ’80, anche nel cinema i giovani devono cominciare dalle basi. Il primo Alien, diretto da Scott, aveva un motto rimasto nella storia:“Nello spazio, nessuno può sentirti urlare”. Anche oggi, e proprio per questo bisogna tornare ai classici per capire il presente e pensare al futuro.
Alien: Romulus recupera sensazioni e atmosfera dei precedenti e, pur con le dovute differenze, riesce ad accontentare vecchi e nuovi spettatori; Alien per tutti e tutti per Alien, dunque. Ora, dopo questa antologia, è difficile immaginare un sequel, ma non possiamo escludere nuovi alieni (e nuovi registi) in grado di farci venire i brividi nello spazio, perché il nemico non è sulla terra, ma sta a noi restare umani, uniti, per affrontare il pericolo e garantirci una vita migliore sul nostro pianeta, qualunque esso sia.