Danny Boyle 28 GIORNI DOPO
2003 » RECENSIONE |
di Federica
Anche questo film non può essere considerato un successo: la stampa britannica l'ha distrutto in mille pezzi fin dal primo week-end di programmazione, e la non altissima presenza di pubblico nelle sale gli ha dato il colpo di grazia. Qui è stato fatto uscire a giugno, che non è certo un mese favorevole alla cinefilia, e quelli che l'hanno visto non hanno avuto reazioni brillanti.
Trovo che sia stato il classico caso di 'misunderstanding': un film di zombi, l'hanno definito i critici, e gli zombi attirano sempre un pubblico limitato agli appassionati. La cosa incredibile è che non è per niente un film sugli zombi ma è un film sulla paura, tema a mio parere sempre molto interessante e che nel suo genere ha toccato, in passato, punte elevatissime. Certo, se a un genere ci si vuole appellare, l'unico da considerare è quello della fantascienza classica, genere all'apparenza d'evasione ma che si pregia di sottili risvolti psicologici nel mostrare la paura collettiva, i timori della contemporaneità, dalla paura degli alieni e della bomba atomica nella science fiction degli anni '50/'60 fino alla paura delle malattie e delle mutazioni genetiche della fantascienza moderna a partire dagli anni '80, come in "La cosa" di Carpenter. Al giorno d'oggi, il genere fantascientifico certo si è un po' cristallizzato e gli alieni non fanno più paura, ma tutt'ora niente è più attuale della paura della malattia incurabile, dell'infezione, dell'epidemia. E' su questo che Boyle ha puntato tutto.
La storia è quella di Jim (Cillian Murphy), un ragazzo che si sveglia dal coma in un ospedale completamente vuoto e semi distrutto. All'uscita dall'ospedale, comincia a camminare per le vie di una Londra completamente silenziosa, deserta e abbandonata allo sfacelo. Al grido, ripetuto, del "c'è nessuno?", nessuno risponde. Grazie a frammenti di giornale scopre che l'intera città è stata evacuata, ma non sa perchè. Finchè l'incontro con strane creature che lo attaccano e con Selina (Naomie Harris), una ragazza, come lui, 'non infetta' gli svela la drammatica realtà: un terribile virus ha attaccato il genere umano, un particolare tipo di rabbia ha trasformato le persone in animali sanguinari, famelici e incontrollabili. Sono tutti morti. I 'non infetti' sono rimasti in pochi. Difendersi è impossibile. Non c'è futuro per la razza umana.
L'ulteriore incontro con Frank (Brendan Gleeson) e Hannah (Magan Burns), padre e figlia che si sono salvati, spinge questa 'compagnia' a fuggire da Londra per rifugiarsi vicino a Manchester, da cui proviene un messaggio radio secondo il quale lì una comunità di sopravvissuti avrebbe trovato la cura alla malattia. Ma una volta arrivati, le cose non sono proprio come sembrano...
Il film apre su una Londra deserta, inquietante e irreale. A chiunque sia stato almeno una volta a Londra non sembrerà vero. E questa intelligente trovata, visivamente bellissima, basta da sola a instaurare quel clima di tensione che permane per tutto il film: la rottura dell'equilibrio, la metropoli distrutta e abbandonata, un po' come il pianeta deserto e sconosciuto; con la distruzione di ciò che è caro, della città natale, il familiare diventa straniero, irriconoscibile e quindi terrificante. Sì, perchè la prospettiva è terrificante quando la paura non viene da fuori ma da dentro, da qualcosa che si conosce e si ama. Il protagonista, in coma da prima dello sviluppo della malattia, non sa nulla e si trova catapultato in un pianeta deserto che conosce ma non riconosce: alla spiegazione di quel che è successo, non riesce a credere. Ma ci riuscirà, e quando lo scontro con questi uomini-animali gli mostrerà che l'unico modo per sopravvire è uccidere a sua volta, non potrà che andare avanti.
La cosa più sconvolgente è dunque che non si tratta per niente di un film sugli zombi ma di un film sulla malattia, sul sangue infetto (il caso ha voluto che il film di Boyle sia stato finito di girare prima che si difondesse l'allarme sars...). E' incredibile che l'etichetta di film-zombi sia stata affibbiata così a cuor leggero, quando la tematica della paura dell'infezione è così lampante!
In ogni caso, il film è decisamente spaventoso. Apprezzabile è il fatto che la paura non derivi tanto da sangue e violenza quanto, a mio parere, da rumori, urla e situazioni inquietanti. Non ci sono effetti speciali particolarmente raccapriccianti, ma le urla degli infetti pronti ad attaccare gelano il sangue, così come gela il sangue l' uccisione di persone conosciute infette dalla malattia.
L'arrivo a Manchester da parte dei protagonisti, che dovrebbe avvicinare alla salvezza ma non fa altro che allontanare segna la seconda e non meno raggelante parte del film: come quando ci si sente al sicuro, in casa, e invece è lì che il nemico si nasconde...altra categoria cinematografica, questa: i tentacoli del thriller si annidano negli angoli della fantascienza rendendo il tutto un po' più reale, e quindi ancora più spaventoso. Perchè i 'non infetti' non sono meno pericolosi degli infetti, quando la priorità è sopravvivere a qualunque costo. La natura bestiale dell'uomo non ha limiti. Chiaramente invece il film di limiti ne ha. Si sa che questi tipi di storie cadono sempre un po' di tono nel finale, e questa non fa eccezione, nel suo seguire alla lettera le regole dello storytelling classico. Ma in conclusione, trovo che il film sia bello e riuscito e soprattutto che non sia un film sugli zombi...spero solo che il passaparola di chi se n'è reso conto basti a farlo capire anche agli altri.