Anna Novion

Drammatico

Anna Novion Il teorema di Margherita


2023 » RECENSIONE | Drammatico | Commedia
Con Ella Rumpf, Jean-Pierre Darroussin, Clotilde Courau, Julien Frison, Sonia Bonny



25/09/2024 di Laura Bianchi
Mea culpa: quando ad aprile uscì nelle sale Il teorema di Margherita, della regista francese Anna Novion, non sono riuscita a trovare il tempo per vederlo. Restò in programmazione solo pochi giorni, forse proprio perché un film che ha un elemento scientifico, o peggio ancora matematico nel titolo, e sempre nel titolo riporta il nome di una protagonista femminile, ha tutto il potenziale per respingere il grande pubblico.

Invece, RaiPlay lo sta proponendo, e stavolta non me lo sono fatto scappare. Meno male, perché è un film intenso, magistralmente diretto e altrettanto superbamente interpretato, soprattutto dalla protagonista, Ella Rumpf, che con la sua interpretazione ha vinto ben tre premi (César, Lumière e del Cinema Svizzero) come migliore attrice esordiente.

Ed è anche estremamente corretto dal punto di vista tecnico, in quanto ha avuto come consulente scientifico anche Ariane Mézard, docente di Matematica alla Sorbona, oltre ad altri matematici. Il risultato sta nell'eccezionale realismo con cui Marguerite, venticinquenne studentessa alla prestigiosa École Normale Supérieure di Parigi, scrive i suoi calcoli ovunque trovi una superficie adatta - e anche non adatta -, per raggiungere un risultato: trovare la soluzione a questioni relative alla congettura di Goldbach, e "non teorema", come lei stessa puntualizza nel corso di un'intervista a inizio film, a marcare l'abisso tra il senso comune e il significato esatto della matematica.

Il titolo contiene quindi un indizio: Novion si avvicina al mondo dei ricercatori scientifici con lo sguardo di chi non lo frequenta, e disegna un ritratto che non ha genere. Marguerite è una ragazza, in un mondo di uomini, ma è posseduta dallo stesso fuoco che li accende tutti: passione, ambizione, ossessione, anticonvenzionalità, a qualunque costo, anche quello di apparire "strani", in uno stereotipo, quello degli scienziati pazzi, un po' autistici, che siano nevrotici sociopatici o solamente rassicuranti secchioni, buono solo per chi crede che la "normalità" sia quella dei modelli imposti dalla società dei consumi.

Così, la storia di una ragazza che si autoesclude dalla scuola, fuggendo da essa alla prima delusione professionale, e si immerge nella realtà di una Parigi fuori dall'École, fatta di giovani che vivono di lavori precari, di appartamenti in condivisione, di traffico e di traffici, ma che non riesce ad abbandonare del tutto la primitiva passione, diventa il paradigma di tutte quelle persone che si sentono - o vengono considerate - "strane", fuori posto, perché dedite allo studio, alla ricerca, ad attività poco redditizie e molto impegnative, e che soffrono perché non riescono a omologarsi, quando, invece, dovrebbero essere loro a insegnare agli altri che esistono percorsi autonomi e originali per raggiungere un equilibrio, precario forse, poco valorizzato socialmente, se non ostracizzato, eppure splendidamente personale.

Marguerite è, certo, "strana"; ma solo per chi non osa, non rischia, non si dona totalmente a un obiettivo, che può essere raggiunto, o no, ma che conferisce un senso completo alla vita, solo se è accompagnato da un altro importante elemento: la capacità di aprirsi ai rapporti autentici con gli altri, agli affetti, all'amore, alla collaborazione. Da questa vicenda tutti hanno da imparare, perfino gli anziani docenti, chiusi nella boria di chi ha raggiunto uno status sociale e non riesce più a percepire l'ansia dei giovani, che si avvicinano loro chiedendo non solo consigli, ma soprattutto verità, sincerità ed empatia. Il messaggio del film è dunque applicabile non tanto all'ambito scientifico - matematico, bensì a ogni altra occupazione, e spinge a riflettere sul significato che ciascuno di noi vuole dare a essa.