Antonello Raponi Come se il mondo non fosse com`e`
2023 -
Sembra un bozzolo che si schiude e da cui escono non una, ma tante farfalle. La sensazione di delicato stupore che desta Come se il mondo non fosse com'è, esordio del cantautore romano Antonello Raponi, può essere descritta così. Per la produzione di un lavoro così personale, Raponi si è avvalso della produzione di Edoardo Petretti, con il mix di Leonardo Ceccarelli e il master di Giancane.
È un disco che, con un tatto simile a quello di Niccolò Fabi, affronta il tema della difficoltà del crescere, del prendere atto dei cambiamenti che il passare del tempo inevitabilmente comporta. Nelle parole dell’autore “ogni traccia rappresenta un passaggio evolutivo verso la stabilizzazione di una propria centralità e la conseguente formazione di un proprio punto di vista attraverso il quale poter leggere gli accadimenti”.
Mi parlano di noi è un luminoso esempio. Un approccio quasi filmico, un narrare per immagini e paesaggi per parlare dell’importanza dei dettagli quotidiani, delle "giornate senza pretese", per dirla alla Capossela.
Le parole della title-track sembrano scendere come rugiada dalle foglie, eppure tanta levità affronta il tema della dipendenza affettiva, del disperato bisogno di essere amati una volta che ci si trova scagliati su questa Terra. Problema che ha anche Daisy, che forse non si rende conto di essere comune e insieme speciale come il fiore di cui porta il nome; basterebbe mettere da parte le paure (“cercare il proprio posto al di là del posto che ti assegna il mondo”).
Domani, ultimo giorno a Recanati, ispirato al momento in cui Giacomo Leopardi lascia la sua città natale, parla del momento in cui si metabolizzano i propri errori. Perché vivere senza sbagliare non è possibile. C’è una luna “tenera e gigante” che sembra quella a cui si rivolge il pastore errante dell’Asia nel suo canto notturno di leopardiana memoria e che qui sembra rischiarare l’animo, sollevandolo piano piano dai timori.
Come se il mondo non fosse com'è termina così, con uno sguardo esitante, ma fiducioso.
È un disco che, con un tatto simile a quello di Niccolò Fabi, affronta il tema della difficoltà del crescere, del prendere atto dei cambiamenti che il passare del tempo inevitabilmente comporta. Nelle parole dell’autore “ogni traccia rappresenta un passaggio evolutivo verso la stabilizzazione di una propria centralità e la conseguente formazione di un proprio punto di vista attraverso il quale poter leggere gli accadimenti”.
Mi parlano di noi è un luminoso esempio. Un approccio quasi filmico, un narrare per immagini e paesaggi per parlare dell’importanza dei dettagli quotidiani, delle "giornate senza pretese", per dirla alla Capossela.
Le parole della title-track sembrano scendere come rugiada dalle foglie, eppure tanta levità affronta il tema della dipendenza affettiva, del disperato bisogno di essere amati una volta che ci si trova scagliati su questa Terra. Problema che ha anche Daisy, che forse non si rende conto di essere comune e insieme speciale come il fiore di cui porta il nome; basterebbe mettere da parte le paure (“cercare il proprio posto al di là del posto che ti assegna il mondo”).
Domani, ultimo giorno a Recanati, ispirato al momento in cui Giacomo Leopardi lascia la sua città natale, parla del momento in cui si metabolizzano i propri errori. Perché vivere senza sbagliare non è possibile. C’è una luna “tenera e gigante” che sembra quella a cui si rivolge il pastore errante dell’Asia nel suo canto notturno di leopardiana memoria e che qui sembra rischiarare l’animo, sollevandolo piano piano dai timori.
Come se il mondo non fosse com'è termina così, con uno sguardo esitante, ma fiducioso.
