
Stefano Giaccone Come un fiore
2007 - La Locomotiva / Venus
Tutto è molto più semplice di quanto ci si possa attendere, quando si sceglie di affrontare un tema tanto delicato, tanto poco frequentato per quello che in realtà semplicemente è, non per ciò che rappresenta.
Chiamata a raccolta una nutrita schiera di amici (Airportman, Art, Tomi Cerasuolo, Dylan Fowler, Gigi Giancursi e Ale Malaffo) con i quali condividere ben più di un comune impegno, ma la paternità, pure compositiva, di un vero e proprio progetto collettivo, questa volta Stefano Giaccone punta alto, molto in alto. Con la pacatezza e misura di sempre, con il tocco sapiente di chi oramai conosce alla perfezione come plasmare la materia cantautorale secondo necessità.
Una manciata di brani ben assestati, storie vissute di amicizie troncate, morti giunte all’improvviso e vite in attesa di una morte, sensazioni catturate, desideri e testimonianze.
Lungo tutto questo album emerge un gran bisogno di raccontare, condividere, ritrovare emozioni comuni. C’è rabbia e rassegnazione, entusiasmo e pudore, ma nulla che si identifichi in tristezza: come se tutto volgesse altrove, riflettendosi negli occhi dei vivi.
L’approccio degli interpreti è misurato e l’ascolto scivola lineare. Fin dalla iniziale intimista “Cielo” la voce calda di Giaccone rende immediatamente giustizia al tema, con il riuscito dialogo tra pianoforte e un bel sax. Le chitarre minimali della successiva “Leo”, introducono un racconto di speranza, droga ed emarginazione che trasuda straziante amore. La rabbiosa e dissonante title track “Come un fiore” è un richiamo alla realtà, un respiro profondo che sa di rincorsa.
“Mio fratello minore”, probabilmente il brano più toccante del disco, parla di morte che spesso è solitudine e smarrimento, barriera da oltrepassare, testimonianza.
L’azzeccata ripresa di “Adesso sì” di Sergio Endrigo, maestro della sublime malinconia di vivere, le cui parole forse solo da scomparso vanno ad acquistare una pienezza di senso che meriata di venir riscoperta, mentre il testo di “Albion”, cover di Chris Wood, lascia senza fiato: un incancellabile affresco di palpabile disagio.
C’è una speranza tenace, luminosa in queste canzoni. C’è il senso comune di un ritrovare ciascuno il proprio destino, il proprio disperato e dolcissimo desiderio di appartenere al mondo.
Parlare di morte per riscoprire il valore della vita. Una conquista che vale la pena raggiungere.