Polly Paulusma Fingers & thumbs
2007 - One Little Indian
Purtroppo “Fingers & Thumbs” conferma la nostra incertezza e lo fa in modo talmente nitido che risulta sin troppo facile criticarne l’esiguo valore. E dire che la Paulusma nel frattempo ha vissuto gioie e dolori, dall’aborto alla maternità, ha suonato in parecchi paesi e ha avuto tempo e modo di coltivare questo disco: tutte esperienze che si dice dovrebbero portare alla presunta “maturazione”.
“Fingers & Thumbs” è invece un disco medio e sin troppo prevedibile.
C’è stata sì un’evoluzione sonora, che ha portato l’autrice ad imbracciare la chitarra elettrica (in evidenza nel retro di copertina) e a riempire maggiormente la forma delle canzoni, ma questa ha prodotto un pop-rock tanto gradevole quanto fiacco.
Si potrebbe dire che la voce di Polly ha maggior risalto negli spazi acustici, che il disco è comunque un prodotto di buona qualità, che ci sono alcune delicatezze commoventi. Tutto vero, ma c’è dell’altro ed è il fatto che queste canzoni non hanno la magia del precedente “Scissors in my pocket”: non emozionano.
Già dopo i primi due pezzi in scaletta viene da pensare che la Paulusma sia una delle tante songwriter carine buone per passare su qualche radio pop-rock. Le intenzioni sono anche buone ma i risultati non vanno oltre un effimero piacere, anche perché le interpretazioni si perdono spesso cercando di descrivere ciò che la musica non riesce a stimolare (come nell’eccessivamente lunga “All the time”, nel dialogo tra uomo e donna di “Ready or not” e nella monotona “Woods”).
Qualcosa dell’incanto che fu compare nella title-track e nella conclusiva “Matilda”, guarda caso le tracce più intime dell’album. C’è anche una “Back to the start” con le chitarre elettriche e l’hammond ad azzeccare un ritmo spigliato, ma non basta e ha il suo bel da fare la Paulusma ad includere Neil Young, Springsteen, Shakespeare, T.S. Eliot tra le source material del disco: quelli sono altra roba, punto e basta.
“Fingers & Thumbs” è un disco trascurabile. Se volete ancora innamorarvi di una songwriter, meglio farlo con l’ultimo di Jesse Sykes o con un qualunque disco di Aimee Mann.