
Nicodemo Viola
2013 - XXXV
Sarà che risulta piuttosto atipico accostare liriche dal preciso tenore poetico a ritmi non proprio introspettivi o a sonorità elettroniche, sta di fatto che con Viola Nicodemo sfida certi conformismi di genere senza crucciarsene affatto.
Ricco di collaborazioni, come già accaduto per il precedente In due corpi (2010), questo nuovo lavoro inneggia al mutamento proponendo una nuova ecologia esistenziale come necessario contrappeso agli esiti snaturanti del progresso tecnologico e della corsa al nuovo e in fondo alle liriche permane sempre la traccia di un intimismo estroverso, un nesso esplicito tra la propria interiorità e il cosmo esterno, sia esso il mondo concitato odierno o quello calmo e incontaminato della tradizione e delle origini.
Il tema della scrittura di Nicodemo resta l’occhio fisso sul ripristino di un’etica della condivisione, sulla domanda che chiede come riportare indietro il tempo “dalla logica strafottente di chi innaffia l’asfalto” e pianta solo “inceneritori della coscienza”. Temi forti, dall’attualità disarmante ma che nell’attuale recupera anche ciò che vale la pena conservare e qui il cantautore fa eco a quel poeta per il quale “là dove c’è il pericolo, cresce anche ciò che salva”.
I 9 brani che strutturano Viola hanno tutti il gusto di un pop-rock sostenuto più o meno ovunque da un compatto fondamento elettronico e il risultato è un disco all’ascolto piacevolissimo, che cela tra le sue pieghe riferimenti diretti e non soprattutto a Battiato (un caso quell’ “aria di rivoluzione” in Un grande Natale, brano in cui torna, tra l’altro, la collaborazione con Andy dei Bluvertigo? Chissà.), ma anche ad atmosfere leziosamente dance (Madre), senza dimenticare il tributo all’essenzialità, notevolmente espresso in uno degli episodi migliori, Inverno, pezzo in duo con Raffaella Destefano e magnificamente scarno in cui piano e voce copulano in un equilibrio che richiama l’etereo di Enya e l’intensità del cantautore catanese.
Altro episodio degnissimo di merito è Nell’aria – che vede la partecipazione di Denise – perché Nicodemo e i suoi riescono a fondere intorno al suo cantato così densamente baritonale accenni evidentissimi a Battiato (che resta costante ovunque), ai Csi, a Philip Glass e a All l need dei Radiohead, in un pezzo dalla tenuta perfetta e dall’impatto slow ma avvolgente.
Seppure in modo leggero e privo di eccessi, Viola è un manifesto di rivolta sociale e privata, un knock-out sferrato contro la politica del disimpegno e del progressismo ad ogni costo, suonato e cantato con la convinzione di chi ancora crede che fare musica sia anche veicolare un messaggio di rinnovamento.
Un disco volutamente più diretto del precedente, come lo stesso Nicodemo tiene a precisare, anche se lui continua a complicarsi volentieri e a noi non dispiace affatto.