
Los Lobos Disconnected in New York City
2013 - Proper Records / IRD
Nati nei primi anni Settanta nel barrio di East Los Angeles, confinati per anni ad incisioni semiclandestine per etichette misconosciute (un buon sunto di quegli anni si trova in Del Este de Los Angeles, dove alle loro prime composizioni si affiancano le riletture di alcuni standard ispano-americani, comprese le scontatissime Cielito Lindo e Guantanamera), i Los Lobos esplodono negli anni Ottanta, grazie al loro legame con la Slash Records, etichetta discografica protagonista assoluta della scena rock americana di quegli anni con un catalogo che comprendeva band fondamentali quali i Blasters o le Violent Femmes.
Un percorso che raggiunge il suo apice, in termini di popolarità, con la loro partecipazione (quasi obbligata, in un certo senso) alla colonna sonora de La Bamba, film che narra la breve vita di Ricardo Valenzuela, altrimenti noto come Richie Valens, prima star del rock’n’roll di origine latina e sfortunato passeggero di quel piccolo aereo da turismo che si schiantò - con a bordo il grande Buddy Holly ed il presto dimenticato The Big Bopper - nella notte del 3 febbraio 1959, la prima della tante date a cui nel corso degli anni è stata affibbiata la triste definizione di “giorno in cui la musica morì”.
Un grande successo commerciale che i lupi del Barrio gestirono benissimo, evitando di lasciarsi incasellare in quel cliché e proseguendo per la loro strada con una maturazione artistica che raggiunge il suo vertice con lo straordinario Kiko e prosegue poi tra progetti collaterali (i dischi del supergruppo Los Super Seven), collaborazioni eccellenti (si veda la lista degli ospiti di The Ride, oltre alle numerose collaborazioni in qualità di session men dei componenti del gruppo a dischi di artisti di primaria grandezza, Bob Dylan e Tom Waits su tutti) e ben riuscite stravaganze (il disco di sole cover di brani tratti dai film di Walt Disney).
Giunti al quarantesimo anno di attività, i Los Lobos celebrano la ricorrenza con un nuovo album live, Disconnected in New York, registrato nel dicembre 2012 alla City Winery.
Un album che non suscita però particolari entusiasmi: intendiamoci, in senso assoluto, non un brutto album, ma senza quella scintilla che ci aspetterebbe in un’occasione così speciale o, più semplicemente, senza nessun particolare elemento che possa farlo preferire alla precedente testimonianza live della band, Live at Fillmore West, pubblicato nel 2005 (senza poi contare il Kiko Live dato alle stampa nel 2012, in occasione del ventennale del loro capolavoro).
Ad ogni modo, la classe dei lupi non è certo acqua e anche in questo album si trovano esecuzioni formalmente impeccabili e sicuramente rappresentative del sound ricco di sfumature e di influenze della band, in una track list di dodici pezzi (ma esiste anche una versione deluxe che aggiunge quattro pezzi in un secondo CD ed un DVD con le immagini di cinque brani del concerto) che passa in rassegna – per quanto possibile, naturalmente - la loro parabola discografica, pescando tra i diversi album in una scaletta comunque non scontata per quanto riguarda la scelta dei brani e che non comprende nessun brano tratto da Kiko, presumibilmente per evitare sovrapposizioni con il sopra ricordato live del ventennale.
Apertura riservata a The Neighboorhood, title track dell’omonimo album dall’andamento bluesato ed una lunga coda strumentale: la produzione degli anni Ottanta è rappresentata da un solo pezzo tratto da How Will The Love Survive? e da due provenienti da By The Light of The Moon, Tears of God ed una trascinante Set Me Free (Rosa Lee).
Tra i brani più recenti del loro repertorio merita senz’altro una citazione la ballata Little Things, originariamente uscita su The Town and The City, mentre per chi predilige le sonorità latine, componenti rilevanti del patrimonio genetico della band, arrivano Maria Christina e Malaque (entrambe tratte da Good Morning Aztlan), La Venganza De Los Pelados e Chuco’s Cumbia.
Chiusura festante con La Bamba fusa in medley con l’immortale Good Lovin’ dei Young Rascals.
Tirando le somme, quindi, un buon disco, ma certo non il primo titolo nella lista degli acquisti per chi si avvicinasse solo ora a questa grande american band (e non stupisca il ricorso a questa definizione per un gruppo di così evidenti origine ispaniche: nell’America del melting pot è giusto che così sia).
Comunque sia e nonostante lo scorrere del tempo, i lupi continuano a sopravvivere.