Little Angel & The Bonecrashers J.A.B.
2014 - Autoprodotto
Avviso di bordo per i naviganti: perturbazioni di pulsanti ardimenti sonici e venti infuocati si espandono dalla provincia varesina; è stato appena sfornato il nuovo album dei Little Angel & The Bonecrashers, un disco accalorato e irrefrenabile, realizzato da brava gente che suona con spontaneo fervore e il cuore in mano. Una masnada di simpatici amici accumunati dall’amore per la buona birra e per quelle sonorità tentacolari che abbracciano l’immaginario del sogno Americana; una ghenga giocherellona capace di mettere assieme con allegra disinvoltura la passione per gli intrecci tra roots music e rock’n’roll, Johnny Cash con l’alternative country degli Uncle Tupelo fiammeggiati sulla cassa della chitarra, transitando dalle parti di Steve Earle, Terry Allen, Ryan Adams e i Creedence di sua eminenza Fogerty.
Little Angel & The Bonecrashers (Angelino & gli Spaccaossa) prendono il nome da un personaggio tipico dei cortili della provincia lombarda, una di quelle figure che potevi trovare in ogni paesotto a cui la gente si rivolgeva in caso di necessità: “l’aggiustaossa”, una specie di pranoterapista/taumaturgo che grazie all’abilità manipolatoria era in grado di dare sollievo in caso di slogature, dolori o distorsioni; il personaggio in parola abitava in un cortile dietro la residenza di uno dei giovanotti della band ed era un omone con una stazza di quasi due metri per 120 kg che, chissà perché?, tutti chiamavano Angelino e quando ti metteva le mani sopra ti sistemava sì la slogatura, ma erano dolori!!
La band è formata da Cristiano Carniel [vocals,guitars and mandolin], Stefano Totò Tosi [vocals and acoustic guitars], Andrea Bergamin [vocals and electric guitars], Gianluca Slav Lavazza [bass] e Marco Sola [drums] più Agostino Barbieri alle tastiere in quattro tracce. J.A.B. arriva dopo qualche anno dal loro omonimo esordio dove tra una cover degli Uncle Tupelo e dei Little Feat (Willin) cantavano delle nostre smalltown rintanandosi fino sulle rive dell’Olona, il fiume dietro casa. Quello che colpisce in J.A.B. è la crescita e la maturità che li premia e li incornicia come protagonisti per l’ardimento di sfidare un genere che è tutto sommato poco remunerativo e poco frequentato alle nostre latitudini. I sentieri del roots rock americano si intrecciano in tracks granulose e ruspanti come tumbleweed sonici che girano per casa; dieci brani autografi dove riportano peripezie e vicende di tutti i giorni, condendo il tutto con disincantata ironia, cogliendo il lato estroverso delle cose per un disco estremamente piacevole e contagiosamente accattivante. Si parte con Harry’s Wifeed è subito country rock ruspante e granelloso con le voci che si alternano e una bella chitarra che prende il volo. La liquida Birdies è una mid ballad che mi ricorda un po’ qualcosa degli Eagles; My Last Ride è giustamente il brano scelto come singolo, questo brano vede la partecipazione e il tangibile contributo del rocker varesino Davide Buffoli che ci ha portato dentro chitarre, hammond, voci e qualche idea. Una song-story con la sua dose di tensione, le chitarre elettriche che si intersecano, l’hammond che scorre sotto gli stivali… gran bel pezzo!
Buffoli è poi presente anche nella gradevole Poor John e nella deliziosa Regrets (Sweet Revenge Song): una perla macchiata di Jayhawks & pop con uno splendido solo dell’elettrica e un ritornello innocente che ti entra nei pori e te lo ritrovi a girar per la testa.
Con Cowboy Prayer vi trovate in Texas dentro casa a fare un giro waltz mentre 1000 Miles Amelia sciorina scannellature sudiste. La scattante Just Another Band con l'inconfondibile boom chicka boom figlio di Johnny Cash nell’angolo e il southern&Young di Troubles Everyday completano un album da cercare senza indugio presso il vostro pusher musicale di fiducia.