La discografia è morta e io non vedevo l'ora<small></small>
Emergenti • Alternative • alt-rock, indie-rock

Io Non Sono Bogte La discografia è morta e io non vedevo l'ora

2012 - Labelpot

27/11/2012 di Ambrosia J. S. Imbornone

#Io Non Sono Bogte#Emergenti#Alternative #Alt-rock #Indie-rock

Io Non Sono Bogte: una negazione, un’ostensione catartica dei propri demoni e fantasmi, la descrizione di parabole di crisi e fallimento, con lo scopo di intravedere una liberazione, il respiro di un mondo e di una vita rinnovata, araba fenice che percepisce il sollievo di un “Tutto passa e pure noi” (Ti ho confessato tutto il mio amore). Questa appare l’essenza dell’album di debutto del gruppo romano, nato nel 2011; ascoltando il disco, diffuso su chiavetta usb a forma di audiocassetta, tra prova della semplicità innovativa del DIY e in fondo anche simbolo-elegia degli ascolti da cameretta/di qualità (quelli che consumavano il nastro…), si potrebbe collegare la band ad altri progetti recenti, ma si compirebbe un errore di approssimazione. Gli Io Non Sono Bogte infatti hanno uno stile più narrativo e disteso, più drammatico e alt-rock rispetto a Vasco Brondi, sono più amari e meno disillusi/ironici dello Stato Sociale o meno provocatori del Management del Dolore Post-Operatorio.

Come i loro colleghi i quattro musicisti romani sono figli di un tempo di disagio, ipocrisie e sconfitte, ma vi reagiscono con la loro via all’evasione dalla nevrosi e dalla precarietà dei sentimenti e del lavoro, le loro già personali istantanee di catastrofi personali e socio-collettive. Da bruciare con attitudine talora quasi punk come scorie di un passato, di storie raccontate con l’intensità di una partecipazione emotiva che fotografa e attraversa la rabbia e il dolore per superarlo nello spiraglio di luce di un futuro differente. La speranza risiede nella possibilità di imparare da ogni caduta e ancora prima da una presa di coscienza delle crepe e dei crepacci del presente, delle fragilità e debolezze proprie e altrui, dei “sistemi” da rovesciare da quello della musica come industria conformista del vuoto a quello che condanna a lavori alienanti e di ripiego (La musica italiana & altre stragi).

Certi cambi di ritmo, le chitarre acide e urticanti, le atmosfere che tremano di tensioni interiori a volte rimandano ai Verdena, ma proprio quell’attitudine al racconto insieme individuale e sociale permette alla band di evitare cortocircuiti ermetico-intimisti. Queste canzoni, tra il cantato, il parlato e l’urlato di Daniele Coluzzi, raccontano come ci si fa male, per colpa dei pregiudizi altrui, di decisioni unilaterali che troncano relazioni sentimentali (la notevole La cosa più importante è che tu stia male, che parte minimale e tetra per poi dilagare dolente ed ineluttabile nella sua ferma malinconia, tra le chitarre elettriche di Carlotta Benedetti e i cori) e abbandonano nell’abisso del silenzio, ma anche e soprattutto perché divorati dalle proprie delusioni e inquietudini autodistruttive (la vorticosa, livida Margareth nella testa e il suo suicidio adolescente).

Si cantano drammi “illacrimati” e asciutti, perché la vita affiora cruda, triste e bruciante, senza inutile pathos, tra i gorghi di distorsioni e i crescendo ritmici che spezzano il fiato in brani come Sette anni di prudenza, a tratti in odore persino di levigata, rinnovata dark-wave, o tra l’eco dolente dei cori contro le note meste delle chitarre di L’aridità sentimentale e altre cose che ti appartengono. Eppure l'esistenza appare anche pronta a rigenerarsi, oltre il tempo dell'impasse. 

Un debutto di rilievo, che vi consigliamo di ascoltare, un gruppo intelligente da tenere d’occhio. 

Track List

  • Io Non Sono Bogte
  • La musica italiana & altre stragi
  • Il mercato nero delle ostie
  • Papillon
  • Cinque e mezzo
  • La cosa più importante è che tu stia male
  • Margareth nella testa
  • Ti ho confessato tutto il mio amore
  • Sette anni di prudenza
  • L'aridità sentimentale e altre cose che ti appartengono

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