Io Non Sono Bogte La discografia è morta e io non vedevo l'ora
2012 - Labelpot
#Io Non Sono Bogte#Emergenti#Alternative #Alt-rock #Indie-rock
Come i loro colleghi i quattro musicisti romani sono figli di un tempo di disagio, ipocrisie e sconfitte, ma vi reagiscono con la loro via all’evasione dalla nevrosi e dalla precarietà dei sentimenti e del lavoro, le loro già personali istantanee di catastrofi personali e socio-collettive. Da bruciare con attitudine talora quasi punk come scorie di un passato, di storie raccontate con l’intensità di una partecipazione emotiva che fotografa e attraversa la rabbia e il dolore per superarlo nello spiraglio di luce di un futuro differente. La speranza risiede nella possibilità di imparare da ogni caduta e ancora prima da una presa di coscienza delle crepe e dei crepacci del presente, delle fragilità e debolezze proprie e altrui, dei “sistemi” da rovesciare da quello della musica come industria conformista del vuoto a quello che condanna a lavori alienanti e di ripiego (La musica italiana & altre stragi).
Certi cambi di ritmo, le chitarre acide e urticanti, le atmosfere che tremano di tensioni interiori a volte rimandano ai Verdena, ma proprio quell’attitudine al racconto insieme individuale e sociale permette alla band di evitare cortocircuiti ermetico-intimisti. Queste canzoni, tra il cantato, il parlato e l’urlato di Daniele Coluzzi, raccontano come ci si fa male, per colpa dei pregiudizi altrui, di decisioni unilaterali che troncano relazioni sentimentali (la notevole La cosa più importante è che tu stia male, che parte minimale e tetra per poi dilagare dolente ed ineluttabile nella sua ferma malinconia, tra le chitarre elettriche di Carlotta Benedetti e i cori) e abbandonano nell’abisso del silenzio, ma anche e soprattutto perché divorati dalle proprie delusioni e inquietudini autodistruttive (la vorticosa, livida Margareth nella testa e il suo suicidio adolescente).
Si cantano drammi “illacrimati” e asciutti, perché la vita affiora cruda, triste e bruciante, senza inutile pathos, tra i gorghi di distorsioni e i crescendo ritmici che spezzano il fiato in brani come Sette anni di prudenza, a tratti in odore persino di levigata, rinnovata dark-wave, o tra l’eco dolente dei cori contro le note meste delle chitarre di L’aridità sentimentale e altre cose che ti appartengono. Eppure l'esistenza appare anche pronta a rigenerarsi, oltre il tempo dell'impasse.
Un debutto di rilievo, che vi consigliamo di ascoltare, un gruppo intelligente da tenere d’occhio.