Giuliano Dottori Lucida
2007 - Ilrenonsidiverte / Audioglobe
Il milanese Giuliano Dottori si fa notare per l’eleganza e la delicatezza del suo cantautorato folk-rock, gravido di una malinconia inquieta che rende accidentato il terreno dei ricordi e incerti i passi nel presente.
Con la band degli olfreConfine Giuliano aveva aperto i concerti di Marina Rei e Moltheni: con la prima Dottori ha vagamente in comune l’intimismo nervoso e nostalgico made in casa Sinigallia, mentre del secondo ha il gusto per le ballate acustiche che si aprono a dissonanze meno immediate per accogliere il dolore delle cicatrici lasciate da “Rancori e segreti”, come titola la traccia d’apertura del disco.
Il violoncello di Marco Radaelli rammenta qua e là inevitabilmente i Perturbazione, mentre “Leggera come sai” ha un’incalzante ritmica rock alla Afterhours, ma quel che rende particolare e fresco il cantautorato di Dottori è il suo modo di assumere e mescolare in uno stile composito e personale lontani riferimenti alla scena italica e più presenti modelli di songwriters folk americani.
Nel cantato e nei cenni blues di “Ogni giorno” o tra le pieghe della sussurrata e struggente “Lucida” e i suoi arpeggi di chitarra acustica si sente aleggiare d’altronde il fantasma di Jeff Buckley, mentre “Nel cuore del vulcano” pare tingersi quasi di post-rock, tra ascendenze 70’s e derive indie, fino alla linea di basso e di chitarra elettrica a tratti persino dark. “Endorfina” è invece la ballad più indie del disco, con le note acute, dolenti ed appassionate del suo ritornello.
Il banjo, il piano e il glockenspiel poi sono nell’album il lieve carillon degli spasimi di un animo scosso da ricordi che si fanno brividi della distanza.
A chiudere il disco due canzoni sicuramente degne di nota; la prima è una dichiarazione d’amore-odio per Milano, che stringe i suoi abitanti nelle sue fascinose spire e li incanta inesorabilmente con le sue “malie” e il potere illusorio delle sue “bugie”. Musicalmente essa per quasi metà si rivela una strumentale, in cui al suono raffinato e suadente del violoncello si affiancano le atmosfere metropolitane dei soli di chitarra elettrica di Dottori e della tromba di Massimo Longhi. La seconda, “E’ stato come”, è un inno alla speranza rigorosamente voce e chitarra acustica, scritto, suonato e cantato con Pasquale De Fina, nella fiducia di poter vivere presto una gioia semplice, leggera e trasparente come il cristallo, temporanea ma luminosa come il nuovo inizio di “una partenza / priva di attesa / senza ritorno”.