
Francesco Giunta La buona novella di Fabrizio De Andre` tradotta in siciliano
2022 - Musica del Sud
Arrivo tardi a scrivere di La buona novella adattata in siciliano da Francesco Giunta. Da isolano consapevole delle insidie del dialetto temevo che la poetica deandreiana potesse in qualche modo risentirne. E’ finita che ho ascoltato il disco tre volte di fila prima di scriverne: non riuscivo a smettere di ascoltarlo, sorpreso alle spalle dalla sua esattezza. La prima cosa che mi ha sorpreso della ri-scrittura di Francesco Giunta è proprio la restituzione climatica dei testi, intatti per spessore e stratificazioni poetiche. In altre parole: nella semantica policroma e terragna che è della lingua siciliana, a Giunta riesce l'impresa di non striminzire l’aura sospesa, dolente, lirica-denunciante al contempo, che aleggia sul disco originale. Solo un esempio, dalla (im)pietosa Tre madri:
"Chiangiu li carni di li me carni/ li vrazza sicchi, l’occhi e li parmi/ la frunti specchiu di lu me cori/ s’afflittu ciatu ca stenta e mori/ Figghiu a lu sangum, spina d’amuri/ e cu ti voli pi Redenturi/ li chiaji aperti di lu to visu/ nun vide e pensa a lu Paradisu/ Pi mia so figghiu, vita nnuccenti/ fusti lu suli di lu me ventri/ comu a la naca e ora ncruci/ ti chiamu amuri c’anticchia di vuci/ Nn’avissi statu figghiu di Diu/ t’avissi ancora pi pigghiu miu”.
“Piango di lui ciò che mi è tolto/ le braccia magre, la fronte, il volto/ Ogni sua vita che vive ancora/ che vedo spegnersi ora per ora/ Figlio nel sangue, figlio nel cuore/ e chi ti chiama Nostro Signore/ Nella fatica del tuo sorriso/ cerca un ritaglio di Paradiso/ Per me sei figlio, vita morente/ ti portò cieco questo mio ventre/ Come nel grembo, e adesso in croce/ ti chiama amore questa mia voce/ Non fossi stato figlio di Dio/ t'avrei ancora per figlio mio”.
Consustanziale al primo aspetto positivo di questa Buona novella siciliana, il secondo riguarda gli arrangiamenti asciutti (acustici) con cui viene musicalmente resa. Il piano plurivoco di Beatrice Cerami e le percussioni misurate di Giuseppe Greco fanno da contraltare alla teatralità delle voci di Cecilia Pitino, Alessandra Ristuccia, Laura Mollica e Giulia Mei, che - esorcizzato il fantasma dall’interpretazione deandreiana (brave: nessuno canta come De Andrè) - assegnano alle tracce una coloritura autonoma. Classica, appassionata e appassionante, quasi da tragedia greca.
Ne è disceso un album senza ombre, rispettoso e spiazzante al tempo stesso, capace di misurarsi coi fiammeggi del mito senza rimanerne scottato. Un ulteriore merito da riconoscere a Francesco Giunta, è dunque quello del coraggio: la sua rilettura della Buona novella lo affranca dalla convenzionalità che tipicizza le cover (dimenticate gli inflazionati arrangiamenti stile PFM), consegnando alla tremebonda discografia attuale un’opera invece del tutto nuova, personale, seppure rispettosa del senso poetico e politico deandreiano. Una mano decisiva alla resa dell’album viene senza dubbio da Edoardo De Angelis - cantautore di lungo corso, frequentatore di musica popolare e voce narrante del disco - che ne ha curato l’edizione. L’ultima parola gli spetta dunque per rango:
“Ho trovato sorprendente il modo in cui Francesco, nel più assoluto e affettuoso rispetto dell’opera di Fabrizio, ha saputo scrivere un’altra Buona novella, regalando al tessuto originale la forza trascinante della passione estrema, il tratto di sentimenti portati al limite. E’ vero, questi sono i colori e i motivi della terra, l’amore e la vita che si respirano in questa lingua così ricca e saporita. Una lingua che Francesco conosce bene, tanto da estrarne ogni goccia di colore nella descrizione della passione e della sofferenza, che si stringono forte l’una all’altra intorno a questo Cristo siciliano”.