
Francesco D`Auria Lunatics
2022 - Caligola Records
#Francesco D`Auria#Jazz Blues Black#Jazz #Lunatics #Caligola Records #Francesco D`Auria #Umberto Petrin
Ci si potrebbe anche fermare qui, ma corre l'obbligo di dare un po' di concretezza. Dopo diversi decenni da protagonista in diverse formazioni, Lunatics è il primo album da leader del percussionista Francesco D'Auria. Il suo è un “arsenale” leggero, estremamente variegato e spesso autoprodotto: dal vivo compaiono anche dei tubi di plastica modificati ad hoc. Ma se gli strumenti cambiano, ben salda è l'ispirazione di fondo, che potremmo definire ritmico-armonica e costantemente dialogica, lontana un milione di miglia dal solipsismo autoincensatorio di alcuni suoi colleghi. Lo strumento che più rappresenta D'Auria è l'handpan, un tamburo metallico idiofono: la sua carezza vagamente orientale attraversa tutto lo spazio del disco. Accanto al percussionista, che firma quasi tutti i pezzi, c'è un quartetto abbastanza atipico, con il sax soprano di Tino Tracanna, la chitarra di Roberto Cecchetto e il piano di Umberto Petrin.
La sequenza di Lunatics prevede sei-sette brani più corposi, alternati a minuscole “schegge” ad alto tasso di interazione tra i membri del quartetto. Sottovalutare queste ultime – che non fanno da collante o riempitivo ma hanno piena e autonoma dignità – sarebbe un atto di superficialità, ma è inevitabile concentrarsi soprattutto sui primi. In oltre cinquanta minuti di ascolto si fa largo l'idea che la sorpresa più bella è quella che ancora deve arrivare, e non è cosa da poco. Già Monetina, con il suo riff accattivante e il bridge alla Weather Report, ci trasmette un senso di fiabesca e fanciullesca scoperta che perdura fino al dissolvimento finale, quando si spezza l'incantesimo. La sequenza degli assoli, qui come altrove, è all'insegna di una grandissima libertà, che non necessariamente è sinonimo di free: si tratta piuttosto di una serie di pennellate e scorci personalissimi, anche con un quid di eccentricità, che definiscono una poetica coerente, nel segno di quanto si diceva all'inizio. In Monetina compaiono, nell'ordine, chitarra, sax e pianoforte; ne I sogni di Pietro, introdotta dall'ammaliante handpan, tocca invece a piano e sax: Petrin si muove nel segno di una maggiore drammaticità, seguito dall'approccio più lirico-declamatorio di Tracanna. Il pezzo nasce come una carezzevole ed efficace ninnananna, che fa da porta d'accesso non all'oblio ma a un mondo di sogni piacevoli. I Found You ha invece un tono più romantico e un'atmosfera da ballad tradizionale, che si rivela compiutamente con l'entrata del sassofono. L'apertura è invece affidata alle note dolenti delle chitarra, che poi si intrecciano strettamente con quelle del pianoforte. Affascinante peregrinazione di quasi nove minuti, Princess Linde, di Michel Godard, mantiene saldo l'appiglio alla trama ritmico-armonica dell'handpan e all'accattivante linea melodica del pezzo, sempre presente in filigrana sotto la superficie degli assoli. Al contrario Soft Wind, firmata da Roberto Cecchetto, rifugge un aggancio melodico facile e privilegia il paesaggio sonoro che la avvolge, caratterizzato da una soffusa e atmosferica indeterminatezza, evocata soprattutto dalle vibrazioni elettroniche e dalle note della chitarra. La conclusiva Il cielo ne condivide l'impostazione, accentuando se possibile la morigeratezza dei mezzi utilizzati e degli interventi, fino all'affettuoso bacio di commiato del sassofono.