
Filomena Campus E Giorgio Serci Scaramouche
2015 - Incipit Records
Il disco in questione è frutto evidente di un lavoro pensato e ricercato anche se evita artefatti da sovraproduzione. Le componenti sopra ricordate sono tutte presenti non tanto in chiave di citazioni antologiche ma come influenze immanenti nelle composizioni.
Il dato principale è la vicinanza alle proprie radici isolane vissute con quell’intensità tipica della gente sarda. Passaggi come “Primavera”, “Campidano” , la poesia “Ombre” (di Maria Carta, artista assai apprezzata da Filomena) e “Boghe e’ Maestrale” affondano in quello spirito animistico e favolistico, a tratti quasi sciamanico, con cui vengono vissute le proprie origini e memorie.
La voce di Filomena e la chitarra di Giorgio sono strumenti cristallini la cui purezza timbrica è uno dei dati estetici principali del lavoro. Ciononostante non ci si trova davanti ad una musica strettamente folk; il flauto di Rowland Sutherland aggiunge echi quasi da jazz / rock progr tutto britannico, la chitarra è di scuola classica con un picking magistralmente controllato, le percussioni di Adriano Adewale scaldano con echi carioca, il canto di Filomena è sovente uno strumento aggiunto, a suo agio tra narrazione, evocazione e gioco improvvisativo che meritevolmente evita stucchevolezze da scat.
Altro caleidoscopio di umori è “Momentum”, in cui il flicorno di Kenny Wheeler tinge raffinatezze brasiliane e spagnole (non flamenche, ovviamente) con spunti che ricordano l’eco-jazz di Fresu; una vera chicca.
La sensibilità all’ambiente circostante è splendidamente espressa in “Baltic Spellbound”, brano tutto nordico nei riferimenti e nelle motivazioni; qui il minimalismo si esprime con scelte quasi da rondò, con frammenti tematici che vanno e vengono e con una chitarra elettrica narcotizzata che tocca più la psiche che il corpo.
Da sottolineare anche l’intervento del quartetto d’archi Keld String Ensemble che in “Decisions” conferisce, grazie a un basso ostinato in evidenza, una colorazione quasi barocca per un concertino che, in contraltare alla chitarra latineggiante, realizza una sintesi interessante tra colto e popolare.
Anche i testi non vanno trascurati.
Si diceva dell’interesse di Filomena per la letteratura e infatti le parole non vengono spese a vuoto. A di là del già citato “Ombre” è bene sottolineare “Round Midday”, interessante parafrasi di un brano di Jack Hirsham parodia di certi schematismi economici nei rapporti tra persone. Qui il tappeto musicale fa galleggiare le frasi che meritano attenzione e, perché no, un ripasso del riferimento letterario originale.
Infine le liriche della title track ben qualificano l’aggettivo di “giullaresco” nell’ accezione dell’artista: non buffone ma clown, in cui l’apparente manifestazione comica convive con quella malinconica tristezza tipica della commedia recitata dietro una maschera.
Un bel lavoro, ricco di tanti particolari vitali che permettono di fruirne in profondità; un’opera in cui alto artigianato e progetto si fondono felicemente.