The Emigrant<small></small>
Rock Internazionale • Folk • Songwriting

Ben Glover The Emigrant

2016 - Proper Music / IRD

13/10/2016 di Luciano Re

#Ben Glover#Rock Internazionale#Folk #Brendan Behan #Eric Bogle

Thousands are sailing

Across the western ocean

To a land of opportunity

That some of them will never see

Oltre 3 milioni di irlandesi emigrarono dalla sola Queenstown, il principale porto di partenza delle navi dirette verso l’America (l’attuale Cobh, spogliata dalla toponomastica imposta dall’Impero Britannico) tra il 1815 e il 1970, a fronte di una popolazione che – limitatamente alla Repubblica d’Irlanda – si attesta attualmente sui 4 milioni e 600 mila abitanti scarsi.

Lo certifica una scritta sul muro del Cobh Heritage Center, il bel museo dedicato al tema dell’emigrazione irlandese (e, in subordine, al Titanic che proprio a Cobh attraccò per l’ultima sua tappa, prima di andare incontro al suo destino e all’iceberg che lo affondò) in questa cittadina portuale sulla costa Ovest dell’Irlanda.

Facile quindi comprendere come l’emigrazione o, meglio, la vera e propria diaspora irlandese rappresenti un tema ricorrente nella cultura irlandese e, inevitabilmente, anche nella sua musica popolare.

Una diaspora dettata da eventi storici quali la drammatica carestia che colpì il Paese nella seconda metà degli anni Quaranta dell’Ottocento, provocata dalla diffusione della Peronospora che distrusse le coltivazioni della patata, primo e spesso unico alimento delle popolazioni rurali dell’isola (le reminiscenze del corso di Patologia vegetale ai tempi dell’Università aiutano a comprendere la storia irlandese, in maniera assai imprevedibile)

Ma anche da motivi politici legati alla secolare sottomissione all’Impero Britannico: non a caso i locali movimenti indipendentisti sono stati sempre generosamente finanziati dagli irlandesi stabilitisi negli USA, a partire – con ogni probabilità – dal regista John Ford, al secolo Seamus O’Feeney, la cui famiglia è originaria della contea di Galway o dal senatore Joseph P. Kennedy, padre di JFK (primo presidente cattolico e di origine irlandese degli USA, oggetto di un’autentica venerazione nella sua terra d’origine), originario della contea di Wexford.

E senza dimenticare le questioni di carattere sociale e culturale, basti ricordare al riguardo che il massimo cantore della città di Dublino, James Joyce, lasciò la sua città natale nel 1904, a ventidue anni, scegliendo di vivere in esilio il resto della sua vita, di fatto per sfuggire alla non particolare apertura mentale che caratterizzava la vita irlandese dell’epoca.

Non può quindi certo sorprendere che, al di là della sua vicenda personale di musicista nativo di Belfast e trapiantato da tempo in America (precisamente a Nashville, dove è stato registrato il disco), il nuovo disco di Ben Glover torni a affrontare il tema, partendo da un titolo che non lascia dubbio alcuno sul contenuto dell’album: The Emigrant.

Ed è proprio la title track - peraltro scritta a quattro mani con una delle amiche americane di Glover, ovvero Gretchen Peters – a stabilire il climax emotivo e le coordinate sonore del lavoro:

The loneliness of the emigrant

Is like nothing else I've ever felt

The restlessness, the discontent

That's the curse of the emigrant

Una ballata pianistica di rara intensità guidata dal piano di John McCullough su cui vanno ad innestarsi le uilleann pipes (strumento principe del folk irlandese) di Skip Cleavinger e gli archi di Eamon McLoughlin.

Proprio sull’equilibrio tra le capacità di scrittura di Glover e le sonorità di sapore celtico vivono gli episodi autografi del disco, tra cui certamente meritano una menzione Heart In My Hand, anch’essa firmata a quattro mani, stavolta con Mary Gauthier a cui il songwriter nordirlandese è professionalmente legato da tempo, e A Song of Home (in questo caso, il coautore è Tony Kerr, countryman originario della contea di Antrim).

Larga parte del materiale del disco è però rappresentato dalle convincenti rivisitazioni che Glover offre di alcuni traditional irlandesi o di brani di autori comunque riconducibili alla area del folk britanno – celtico.

Tra queste ultime, From Clare To Here dell’inglese Ralph Mc Tell e The Auld Triangle brano che accompagnava The Quare Fellow opera teatrale di Brendan Behan (che, in occasione della prima, la cantò personalmente nascosto tra le quinte del teatro) e divenuto un vero proprio inno dublinese, grazie in primo luogo alla versione dei Dubliners, ma capace di varcare l’oceano per arrivare anche nelle cantine di Woodstock dove Dylan e la Band ne registrarono una loro versione durante le session dei Basement Tapes.

Ma su tutte spicca la maestosa versione di And The Band Played Waltzing Matilda, scritta dal folksinger scozzese trapiantato in Australia (a proposito di emigrazione) Eric Bogle che rievoca la drammatica vicenda dell’ANZAC, il corpo formato da militari australiani e neozelandesi mandati al massacro sullo stretto dei Dardanelli durante la Prima Guerra mondiale dall’allora primo Lord dell’Ammiragliato britannico - tale Winston Churchill, per inciso - entrata di diritto nel patrimonio popolare irlandese grazie ai soliti Dubliners e, in tempi più recenti, ai Pogues.

Tra i traditional invece compaiono The Parting Glass e Moonshiner (ovvero distillatori clandestini di bevande alcooliche, altro tema strettamente connaturato alla tradizione popolare irlandese) e, soprattutto, la gradita sorpresa finale di The Green Glens of Antrim, ballata tra le più melense del folk irlandese al punto da apparire iperglicemica anche nella versione di un gruppo solamente da battaglia come i Wolfe Tones che viene prosciugata e offerta in una spoglia e rigorosa versione per piano e voce.

Un gran bel disco, quindi, che fotografa Ben Glover in uno stato di grazia, dopo lo splendido album degli Orphan Brigade, estemporaneo (almeno credo, pur coltivando la speranza che l’esperienza non sia esaurita con Soundtrack To A Ghost Story) progetto di cui Glover è stato recentemente partecipe.

PS: su musica popolare, carestia delle patate e emigrazione irlandese, consigliatissima la lettura di Stella del Mare, capolavoro – a mio avviso – di Joseph O’Connor, fratello assai più talentuoso come scrittore dell’ingombrante sorella Sinead come cantante.

Track List

  • The Parting Glass
  • A Song Of Home
  • The Emigrant
  • Moonshiner
  • From Clare To Here
  • Heart In My Hand
  • The Auld Triangle
  • Dreamers, Pilgrims, Strangers
  • The Band Played Waltzing Matilda
  • The Green Glens Of Antrim

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