Alessandro Gwis #2
2010 - cni
Il lavoro è realizzato in trio, secondo uno schema sempre più adottato sia per la semplicità organizzativa che per lo spazio che lascia agli artisti partecipanti. L’interpretazione tuttavia è piuttosto lontana dagli approcci tradizionali sia di interplay che di staffetta tra solista e colleghi. La trama dei brani appare compatta e sostenuta “democraticamente” dai tutti i membri del complesso con un interessante contributo dell’elettronica, ingrediente sapientemente dosato a conferire tinte moderne al tutto.
Spruzzate glitch si avvertono a più riprese in Buster Keaton, The ballonatic, Ibo”, Cauda lenta e Wind roses glitch; elemento quindi non saltuario ma organico al disco, generalmente utilizzato come strato sovrapposto ad una narrazione musicale molto comunicativa. Si crea così una dialettica tra opposti che viene felicemente risolta da quell’anima popolare legata al jazz ed al tango, generi talmente vivi da garantire dei baricentri chiari alle composizioni. In Don’t blame Gwis gli effetti elettronici, il piano e la fisarmonica fanno volteggiare questi elementi in una sarabanda argentina originalissima, realizzando uno dei passaggi migliori e più divertenti del disco.
Numerosi sono anche gli episodi più dedicati alla narrazione, generalmente riflessiva con un ponte verso la classica e la new age meno scontata; O sol dos dias mais lindos e The flood esibiscono chiari debiti verso questi lidi musicali che raggiungono la massima chiarezza nell’onomatopea di Settembre e di Langhe oscure.
Lavoro molto ricco di spunti e di riferimenti, non facilmente classificabile e quindi per nulla scontato. Certamente chi gradisce il jazz, il tango e certa new age sarà facilitato. Dedicato comunque a chi ha senso di immaginazione, flessibilità mentale e capacità di distacco dalle categorie standard; gli altri possono rivolgersi altrove.