Adriano Modica Il fantasma ha paura
2007 - Trovarobato / Audioglobe
Ovviamente poi “Il fantasma ha paura” è un lavoro di Adriano Modica, che ci mette molto del suo portando a galla quelle capacità emerse solo in parte con Marco Parente, ogni tanto con gli Addamanera e in un paio di concerti con Il Parto delle Nuvole Pesanti.
Lui è compositore e polistrumentista, ma sarebbe meglio dire arrangiatore per la capacità di arrangiare e persino di arrangiarsi, mescolando strumenti giocattolo, chitarre vintage, oggetti e rumori ambientali fino ad ottenere un suono serafico e sghembo, un mondo a parte in cui convivono pop e incubi indie, melodie sognanti e stralci di favole prog.
Il primo spirito che si intravede nell’ascoltare “Il fantasma ha paura” è quello di Marco Parente per via di un’affinità nel creare parti sospese anche al canto. Di spiriti poi ne compaiono altri, generati dalla mente di Modica, e canzone dopo canzone sembra di trovarsi circondati da una schiera di sagome che tra manichini e mostri si muovono come parodie dell’uomo moderno. Lo stesso si può dire degli arrangiamenti che riproducono l’inquietudine di un silenzio, lo stridere di un vetro rotto, il riflesso indesiderato di uno specchio o di una luna assai poco innamorata.
Più che di rumoristica vera e propria si tratta di un gusto per il ricamo spiazzante, per l’intervento imprevisto: a questo concorrono le note stranite del piano, i soffi di un flauto, di un glockenspiel piuttosto che qualche tremolo e fischio, il tutto con la supervisione e l’orecchio dei Mariposa.
Il bello è che tanto armeggiare di suoni ha un suo equilibrio quasi minimale, sempre in bilico tra follia e fantasia, e su questo si poggiano pezzi che lasciano in silenzio con la bocca semiaperta, un po’ per lo stupore e un po’ per il fastidio: soprattutto “Il gigante si sveglia” e “Battito muto in 3/4” spiccano con un’ansia interiore che trova forme mai piene. Ogni traccia ha comunque la sua parte di musica e di abbozzi alienati dalla chitarra e il wurlitzer che corrono sotto “L’unghia” all’e-bow e al theremin che espandono “I manichini”.
A tratti sembra di scorgere qualche eco degli Ulan Bator o un’ombra dei Pink Floyd, ma Modica fa suonare tutto suo grazie ad un arsenale che comprende persino cicale, campanacci, farfisa, una pianola Bontempi ecc.
Onde evitare il rischio di perdersi, questo giovane calabrese ha avuto la lucidità e il coraggio di fare un disco breve, di soli otto pezzi, che non lasciano mai soddisfatti.
Ammesso che abbiate orecchie ancora curiose, in grado di rizzarsi nel sentire qualcosa di trasversale.