Oggi sono in tanti a lodarlo per l’egregio lavoro svolto con due grandi voci nere come Solomon Burke (“Don’t give up on me”, 2002) e Bettye Lavette (“I’ve got my own hell to raise”, 2005) e dovrebbero essere altrettanto (ma purtroppo non è così) per questo “I believe to my soul” in cui ha messo insieme altri cinque storici interpreti come Mavis Staples, Ann Pebbles, Allen Toussant, Billy Preston e Irma Thomas con un repertorio di vero soul e r&b.
Non si tratta di una delle tante operazioni di recupero, come va ormai tristemente di moda, ma di un lavoro che rivitalizza lo spirito e il corpo di una musica quasi dimenticata rendendola ancora una volta attuale e necessaria: “it is music stepped into tradition, but played with no particular reverence for it”.
Non c’è reverenza quindi nei confronti dei pezzi, ma ci sono sicuramente rispetto e competenza: di questo bisogna dare atto appunto a Joe Henry, bravo a scegliere le voci e i musicisti protagonisti delle sessions e soprattutto perfetto come suo solito nel creare il mood giusto. Bastino le foto del booklet, scattate rigorosamente in bianco e nero, a suggerire colori ed ombre dell’ambiente che fa da sfondo alle canzoni.
Henry riesce nell’impresa di assemblare un disco che trasmetta oggi la profondità e la fisicità del soul e del rhytm’n’blues: si vada per esempio a pescare nella scaletta “Both ways” con un ritmo che muove senza pompare oppure “The same love that made me laugh” cantata da Irma Thomas e suonata con una verve che funziona più di tutta più la (presunta) black music dei nostri tempi.
Merito ai cinque protagonisti che entrano nei pezzi appropriandosene ognuno col proprio stile: la Staples offre un assaggio di Mississippi in “You must have that true religion” facendo salire la forza del gospel su un blues scuro, la Peebles ricama “Tonight I’ll be staying here with you” di Dylan e soprattutto il soul drammatico di “When the candle burns low”, mentre Allen Toussaint si muove qua e là col suo piano creando grooves che richiamano alla memoria New Orleans e non solo.
Splendido il duetto tra Preston e la Staples in “That’s enough” che coinvolge anche i fiati in un call & response, ma ogni pezzo ha la sua anima, anche quando si dimena attorno ad un funk come in “As one”.
Soul e rhythm’n’blues non sono riesumati come cadaveri e finalmente possono mostrarsi di nuovo senza bisogno di essere considerati dei reperti archeologici. Questa è una musica viva, che speriamo possa proseguire in altri lavori come lascia sperare quel “session 01” che sottotitola il cd.