Zanne Festival 2015 - Four Tet

live report

Zanne Festival 2015 - Four Tet Parco Gioeni, Catania

18/07/2015 di Annalisa Pruiti Ciarello

Concerto del 18/07/2015

#Zanne Festival 2015 - Four Tet#Rock Internazionale#Alternative Zanne Festival

DAY 3

La terza serata di Zanne comincia ancor prima che il sole tramonti, stasera saranno in cinque ad esibirsi sul palco, sono le 20.15 circa quando è tutto pronto per la prima band della serata, la giovane Diane Claude Sagnier aka Camp Claude, filmaker e fotografa francese. Ad accompagnarla sul palco due baldi cavalieri, i Tristesse Contemporaine, uno dietro la consolle e l’altro alla chitarra; lei, Claude è una frizzante signorina con la chiarissima passione per i ’90, la sua salopette e le sue meches ne sono la dimostrazione, oltre alla scelta dei suoni. L’atmosfera è quella di una festa di compleanno, con tanto di palloncini colorati che si librano nel cielo ancora azzurro; lo show si apre con Lost and found singolo contenuto nel suo ultimo Ep Hurricanes nonché brano più celebre dell’artista francese con la passione per il campeggio (ecco spiegato il perché del suo simpatico nome d’arte). Si prosegue con Trap, Blow e la title track Hurricanes, mentre lei continua a sgattaiolare sul palco con tanto di microfono sbrilluccicoso, scaldando il pubblico ancora boccheggiante a causa del caldo. Riesce nell’intento di fondere il sound cupo della wave dello scorso secolo con le atmosfere gioiose e sognanti che solo il pop sa evocare.

Origini svizzero-canadesi per la prossima band sul palco, loro sono i  Peter Kernel, ovvero Aris Bassetti alla chitarra, al basso l’altra metà della mela Barbara Lehnhoff e alla batteria Giacomo Bastianelli. I tre si prestano a dei simpatici siparietti, finalmente sul palco qualcuno che parla l’italiano, e con sorpresa scopriamo che anche Barbara, rigorosamente scalza, lo parla perfettamente. I Peter Kernel innamorano il pubblico e con il loro post punk lo rapiscono, sono in perfetta sintonia, esplorano i brani del loro nuovo album Thrill addict partendo Ecstasy, passando dalla tenebrosa Your party suck’s, all’ipnotica it’s gonna be great . Si prestano ad un meraviglioso scambio di battute tra doppi sensi e richieste azzardate al tecnico delle luci e al pubblico, al primo richiedono delle luci sexy e al secondo quello di baciarsi, solo se uomini e donne in egual numero. Il loro intenso live si conclude con la bella bionda urlante, è tutto pronto per la frenetica High Fever, adrenalina allo stato puro; resoconto della serata: i Peter Kernel altra rivelazione di questa terza edizione di Zanne.

Abbandonato il punk degli svizzeri si passa alla psichedelia degli Hookworms, sono giovani e sono al loro secondo album The Hum (quello con la dentiera per intenderci) una vera e propria bomba il disco e grande conferma il loro live. Sin da subito il palco esplode con Away/towards ma la cosa assai strana è la potenza della voce del frontman, la utilizza a mo’ di strumento la graffia e la dilata a suo piacimento, mentre alle sue spalle una fittissima tela di suoni si tesse, e a contribuire all’effetto groviglio ci pensano le luci su quel grande palco. Esibizione astrale e ipnotica, il pubblico in rispettoso silenzio a godere del viaggio oscuro offerto dalla band di Leeds; MJ dapprima impassibile e dispensatore di timore, dopo qualche brano si scalda e con un’inspiegabile  furia esegue Beginners, il senso di alienazione impera tra la folla accalcata sotto il palco, mentre sul palco un ritmo serrato fa da sfondo alle due taglienti chitarre e all’onnipresente basso. Siamo nel pieno del live quando ad un certo punto arrivano l’incazzata Radio Tokyo e la folle The impasse; il pubblico e pronto a dimenarsi, una parte di esso si da al pogo; il live degli Hookworms è un misto di irrequietezza, inquietudine e rabbia virale.

Come preannunciato lo Zanne in questa splendida  e sorprendente edizione ha aperto le porte all’elettronica, regalandoci le performance di due dei più grandi producer europei: Luke Abbott e l’atteso Four tet, con la sua unica data italiana. La postazione e pronta, il palco è privo di strumenti ed ampli, solo tanti neon colorati accerchiano la poco modesta postazione, il primo ad esibirsi in un forse troppo breve set è Abbott, l’atmosfera è quella da club londinese, il pubblico in estasi comincia a ciondolare da una parte e dall’altra, misura e pulizia sono le protagoniste indiscusse. L’occhialuto compositore con l’aria da nerd con fare meticoloso si destreggia tra una consolle e il suo mac book, dipingendo suoni come su una tela, li stratifica e li ammassa, altre volte li scarnifica e li rende minimali. Il primo è andato, malgrado la postazione possa accogliere entrambi contemporaneamente ciò non accade e Abbott troppo velocemente cede il posto a Kieran Hebden aka Four tet. Si parte con Evening side col suo sound velatamente tribale, si passa ai ritmi fintamente hawaiani, fino ad approdare in India; il giovane inventore della folktronica sembra non divertirsi parecchio su quel palco e a tratti sembra che suoni più per dovere che per passione. Sensazioni a parte il live continua con Sing, vecchio brano del 2010 e con Ba teaches yoga del 2013; non c’è live senza problemi tecnici, sono come quei piccoli sbagli che ti fanno sentire vivo, ma il vero errore lo commette il nostro “eroe” quando per qualche secondo abbandona il palco, azione da non compiere quando sei un acclamato producer. Il live si chiude con Evening side, l’altro pezzo orientaleggiante del nuovo disco Morning/Evening; forse non siamo ancora pronti a scendere dal treno dal Darjeeling, per citare Wes Anderson, ma dobbiamo poiché il macchinista saluta il pubblico e abbandona il palco, lasciandoci con  l’amaro in bocca. La terza serata è giunta alla conclusione, ma poco distante dal parterre c’è un silent party organizzato da Red bull: due dj, due generi totalmente diversi e tante cuffie, il tutto all’insegna della solitudine e dell’isolamento, esperimenti antropici che non riesco ancora a capire.