live report
Ian Hunter And The Rant Band Mezzago /Bloom
Concerto del 16/10/2017
#Ian Hunter And The Rant Band#Rock Internazionale#Rock Ian Hunter Mott The Hoople The Rant Band
Un nome che non avrebbe bisogno di alcuna presentazione, tanto glorioso è il passato a nome Mott The Hoople, quanto luminoso il presente di una carriera solista che ha ormai superato i quarant'anni. Evidentemente il suo non è però un nome di grosso richiamo per il pubblico italiano, altrimenti non si spiegherebbe la scarsissima affluenza registrata per un evento che avrebbe meritato un numero ben più alto di presenti. Forse hanno influito il lunedì sera e un locale geograficamente un po' fuori mano, però la sensazione è che ormai solo i grandi eventi mediatici abbiano poi un riscontro adeguato di pubblico. Alle 20.30 il Bloom è desolatamente semi vuoto, i diffusori del locale ci intrattengono, nell'attesa della sua venuta, con Bruce e Tom Petty, come dire benvenuti a casa. Alle 21.40 già il numero dei presenti è ben più cospicuo, ma non supera certo le 200 unità. Tutto ciò non tocca minimamente Ian Hunter e la sua Rant Band, perché quando entrano sul palco è subito festa, calore e rock'n'roll, a testa bassa, senza fronzoli e artifici, così come viene dalla pancia, dritto al cuore dei presenti.
I Moot The Hoople fanno giustamente gli onori di casa con The Moon Upstairs, seguiti da Once Bitten Twice Shy, inno corale, mani al cielo e ritornello cantato da tutti. Fatally Flawed è una gran ballata dal piglio rock tratta da When I'm President, mentre la title track ha il passo spedito e il respiro ampio del miglior heartland rock, così come la seguente Saint, anch'essa tratta dallo stesso disco. Non fa una smorfia Ian, non una parola, occhiali da sole e polo molto trendy, la band macina assoli senza tregua, due chitarre, basso, batteria e tastiere, come un turbo nel motore. The Truth, The Whole Truth, Nuthin'But The Truth picchia duro prima dell'oasi acustica di Morpheus, suonata al piano. Neanche il tempo di fiatare che Ian, sempre seduto al piano, parte con l'intro incendiario di Just Another Night, che invade il Bloom con il suo tiro epico e travolgente. Ballano i pochi ma buoni presenti, si respira aria da rifondazione del rock'n'roll, stasera o mai più!
Fingers Crossed ci ricorda per l'ennesima volta che Ian Hunter, oltre ad essere un grande rocker, è un songwriter sopraffino, capace di regalare ballate sublimi e sognanti, voce roca e dylaniana per condire il tutto. Con All American Alien Boys e All The Way From Memphis andresti dritto in Paradiso, tanto salterebbero tutti come matti anche lì. Non è da meno la produzione recente, a testimoniarlo ecco Ghosts, altro estratto dall'ultimo disco Fingers Crossed. Si riaffacciano i Mott con la splendida Roll Away The Stone, poi è l'apoteosi di una Sweet Jane passata sotto il frullatore dei Ramones, uno Ian Hunter quasi commosso rallenta le strofe per poi ripartire alla velocità della luce. Da qui in avanti è un'abbuffata di emozioni e colpi al cuore, Bastard tirata e psichedelica come poche volte l'ho sentita, non è da meno 23A, Swan Hill, pescata da The Artful Dodger del 1996. Nei bis arriva finalmente la tanto attesa Dandy, suggestivo e commosso omaggio all'amico David, una grande ballata per suggellare l'immortalità del Duca Bianco. Tocca poi alla bellissima Life, una sola strofa, per confluire poi direttamente in uno dei riff più famosi nella storia del glam rock, all the young dudes/carry the news, cantano veramente tutti, versione devastante, definitiva. Una quasi sussurrata Goodnight Irene manda tutti a casa ancora increduli, negli occhi, nelle orecchie, nel cuore e nell'anima qualcosa che si avvicina molto alla felicità. Una serata che ha ripagato in pieno ogni singolo chilometro dei circa 1260 percorsi tra ieri e oggi. Poi raccontatemi pure che il rock'n'roll è morto e che in giro ci sono solo dinosauri! Now it's a mighty long way down rock'n'roll Through the Bradford cities and the oreoles And you look like a star but you're still on the dole All the way from Memphis.
Foto di: Giuseppe Verrini