Massimo Bonelli

interviste

Massimo Bonelli Chiacchierata con un uomo libero

11/01/2021 di Nicola Olivieri

#Massimo Bonelli

Nella sua lunga carriera di discografico ha lavorato con artisti considerati delle leggende. All’apice della sua carriera di Massimo Bonelli diventa direttore generale della Sony Music. Poi dice basta e smette di fare il discografico per dedicarsi alla scrittura di fiabe, all’organizzazione di mostre e alla conduzione di programmi radiofonici… come dice lui da “uomo libero”.
Hai una lunghissima carriera alle spalle, EMI, Epic, Sony, di cui sei stato direttore generale, insomma sei stato dentro la storia della discografia internazionale e italiana. Riassumici la tua carriera di discografico.

Quanto spazio avete? È una storia lunga, iniziata nei primissimi anni ’70 in quella che, in quell’epoca, era definita la regina della discografia: EMI Records, casa discografica inglese, significava Beatles insieme e separatamente, Pink Floyd, Queen, Francesco Guccini, Deep Purple, Mina, Kate Bush, Nomadi, Tina Turner, Franco Battiato, Duran Duran etc. Ho trascorso quasi quindici anni tra vendite speciali e promozione, per poi cedere alla terza richiesta della CBS Records e passare con loro. Siamo arrivati a metà degli anni ’80 e divento responsabile della promozione in Italia del colosso americano che distribuisce Bob Dylan, Bruce Springsteen, Claudio Baglioni, Francesco De Gregori etc. Con l’acquisto dei giapponesi e la trasformazione in Sony Music (anni’90) avviene la divisione delle due principali etichette Columbia e Epic, io dirigo quest’ultima. Nella mia scuderia sono presenti Sade, Michael Jackson, Alice Cooper, Ozzy Osbourne, Pearl Jam, Alice in Chains, George Michael,  Korn, Gloria Estefan, Jeff Beck, Cyndi Lauper etc, a questi io aggiungo Jamiroquai, Suede, Oasis e un variopinto cast italiano che va da Ivano Fossati a Renato Zero e Fiorella Mannoia.  Poi, con il nuovo Millennio, grazie a risultati gratificanti con la Epic, divento direttore generale della Sony Music, quindi Epic e Columbia. Il mercato, in questa nuova epoca, diventa sempre più complesso, così, nel 2008, quando mi accorgo di trascorrere più tempo con gli avvocati che con gli artisti, lascio la discografia.

Ti definisci anche “sognatore e narratore di fiabe”, perché?

Sognatore certamente, perché nella mia testa vi è sempre un turbinio di pensieri, di film immaginari, di sogni che dilagano in un fantasioso carosello di sequenze impossibili, irreali.  Riuscissi a scrivere nello stesso tempo e nello stesso ritmo in cui penso, avrei in mano la Divina ma Fantastica Commedia. Le Fiabe sono l’alibi per uscire dalla realtà, ne ho scritte una dedicata ad un ipotetico folletto “La vera fiaba di Emjay (ovvero Michael Jackson) che viaggia tra diversi mondi e diverse realtà. La fantasia ti rende libero e inattaccabile. Oltre a questi appellativi, io sono un viaggiatore. È nel viaggio che ritrovo me stesso, insaziabile curioso. Ho viaggiato molto nel mondo e vorrei continuare.

Hai organizzato alcune mostre che hanno avuto grande successo

L’occasione mi è stata data dal sindaco di un borgo molto bello sul Lago d’Orta. Mi aveva chiesto di esporre tutti i ricordi, i cimeli della mia lunga carriera discografica. Così ho fatto la mostra “Una vita tra Pop & Rock”. In una stanza del Comune ho esposto un quadro di Leonard Cohen, un altro di Bob Dylan, il giubbotto di Keith Richards, quello di Michael Jackson, la maglietta di David Gilmour… insomma circa trecento rarità dei personaggi della musica. Ha avuto un tale successo che mi ha chiesto di farne un’altra in uno spazio più appropriato: uno dei musei più importanti del Piemonte. Così è nata la mostra “I Colori del Rock” con un centinaio di quadri realizzati dai maggiori pittori che hanno la musica come priorità. Pitture psichedeliche, ritratti, creazioni in stoffa, altre luminose. Straordinario. Un successo incredibile, tanto che hanno voluto ne facessi un’altra ancora ed è nata la mostra “Obiettivo Rock”. Tutti i più importanti fotografi del rock con la più grande esposizione fotografica mai realizzata nel nostro Paese. Il successo è stato esagerato. Ne hanno parlato tv, radio, quotidiani. Ho avuto prime pagine sulla Stampa e altri giornali. Visitatori da ovunque. Insuperabile tanto da rifiutare ogni altra richiesta se non quella di fare il meglio delle tre mostre ma solo a Milano. Qui è arrivato il covid.

La musica è figlia del proprio tempo. Cosa mi dici della musica che si ascolta oggi?

La conosco pochissimo. Poi è chiaro che non esiste una musica che si ascolta oggi, esistono vari tipi di musica e si tende a preoccuparsi solo di quella che emerge dai canali di comunicazione. C’è ovviamente un pubblico diverso per ogni generazione. C’è tanta musica nel mondo e molta è fantastica, bisogna solo cercarla, non la sentirai in tv o nelle radioline che trasmettono le hit.

Cosa è cambiato dai decenni d’oro ad oggi e perché, a distanza di cinquanta anni e più, continuiamo a considerare la musica di allora ancora un riferimento mentre la maggior parte di quella prodotta oggi è quasi sempre una meteora, pronta a sparire dalla memoria delle persone nel giro di poche settimane.

Credo che ciò che accade nella musica accada in ogni forma d’arte: cinema, teatro, pittura, letteratura …  Ci sono strade e idee nuove, alcune nascono da movimenti del tutto originali, ma più frequentemente ci si ispira dalle radici, dall’esperienza rodata, dalla bellezza riconosciuta di ogni forma d’arte.  Non è solo il rock o il pop, questo accade soprattutto nell’ambito della musica classica e nel jazz, si parte da sonorità conosciute per sviluppare nuove armonie.  Nel nostro caso, ci sono più correnti, ma i maestri restano i grandi del blues, del rock’n’roll per poi arrivare anche ai rapper o quella che viene definita “urban music”. Ciò che trovo fuori luogo è che la musica nata a Detroit, città industriale oramai distrutta, fantasma, violenta, dove si moltiplicano i fenomeni musicali del rap che cantano le disavventure umane di quel luogo, possano ritrovarsi da noi in una funzione banalizzata dall’esposizione televisiva commerciale.

Se guardo le classifiche di ascolti (purtroppo non si parla più di vendite) ho la sensazione che l’industria discografica abbia smesso di cercare l’artista originale. Vedi per esempio l’ultima edizione di XFactor, secondo me la meno interessante di tutte le edizioni, dove l’utilizzo spropositato di Auto Tunes ha reso la musica tutta uguale, facendo apparire qualche gruppetto di urlatori come la novità del decennio.

Non seguo la tv, nessun programma, tanto meno quelli musicali. Da quando sono uscito dalla discografia ufficiale, se esiste ancora, sono uscito anche da certi obblighi e ora sono un uomo libero e intendo restare tale senza subire la droga peggiore del nostro mondo: la televisione. Di conseguenza mi sono isolato dagli accadimenti e dal gossip musicale attuale e vivo in una mia isola privilegiata che prosegue e si alimenta del rock, del pop o di ogni genere di bellezza nel meraviglioso mondo che amo.

È possibile cambiare le cose? Come secondo te?

Spegnendo la tv e riattivando il cervello

E se invece di spegnere la TV si provasse a farla migliore? Se potessi gestire uno spazio televisivo, cosa lo organizzeresti?

La televisione è una droga. Apparire diventa il senso primario lasciando in secondo piano la qualitàÌ€ della musica e dando prioritàÌ€ all'immagine, ai fronzoli. Una buona trasmissione musicale non è composta da ospiti occasionali, deve essere fatta sotto una forma di dittatura culturale, una specie di “Che tempo che fa” di Fazio, meno buonista e accomodante, esclusivamente musicale e informativo.

Secondo te è un’alternativa produrre la propria musica in modo autonomo e indipendente?

Credo di sì, sperando che, come accade nell’editoria, se c’è vero talento, qualcuno se ne accorga.

Conduci una trasmissione radiofonica, lo fai regolarmente o occasionalmente? E dove si può ascoltare?

Non so se regolarmente o occasionalmente, lo faccio spesso. Sono circa due anni che collaboro con il network di Radio Popolare. Sono fiero di questa collaborazione con una radio che mi rappresenta anche culturalmente e socialmente. Uno dei due programmi che conduco si intitola “Music Revolution”, trasmetto i dischi, la musica che ci ha cambiato.  La musica che ha segnato un’intera epoca, dagli anni ’60 ai giorni nostri. L’altro programma, quello di punta, si intitola “Rockonti: fiabe musicali ai confini tra fantasia e realtà”. Questo è un vero impegno. Sono storie che sto scrivendo da due o tre anni. Storie reali che si liberano grazie alla fantasia. Racconto episodi, personaggi del mondo della musica, sensazioni, atmosfere che, se nella realtà risultano attraenti, con un po’ di fantasia diventano affascinanti, meravigliose. Rockonti dovrebbe essere anche un libro in uscita il prossimo maggio.

Grazie Massimo per il tempo che hai dedicato a questa intervista. Nell’attesa di leggere il tuo libro di “Rockonti” ti ascolteremo alla radio.