
Larry Sloman On The Road with Bob Dylan - Storia del Rolling Thunder Revue (1975)
Minumim Fax, 2013 Saggi | Musica
02/01/2014 di Luciano Re
Prendete “Almost Famous”, il bel film girato qualche anno orsono da Cameron Crowe che, ripercorrendo i suoi esordi - avvenuti quando ancora era un adolescente - come cronista di Rolling Stone, faceva rivivere l’ambiente ed il clima del rock americano degli anni Settanta, celebrando nel contempo anche il giornalismo musicale di quegli anni (basti pensare alla memorabile interpretazione di Philip Seymour Hoffman nelle vesti del mitico Lester Bangs).
Immaginatevi una versione scritta, in cui certo vengono meno le performances degli attori (e insomma, per noi maschietti, l’assenza di Kate Hudson/Penny Lane rappresenta indubbiamente una perdita) e la colonna sonora costruita con una serie di indimenticate canzoni di quegli anni (ma a questo rimedieremo, prima di arrivare in fondo…), ma che vede al centro dell’attenzione non il fantomatico gruppo degli Stillwater (peraltro modellato, a quanto sembra, sui Poco di Richie Furay), ma il più grande personaggio che la musica popolare abbia mai partorito in ogni luogo ed in ogni tempo, ovvero mister Bob Dylan.
E se ciò non bastasse, la scena non è quella di un normale tour del nostro eroe (ovviamente, nell’ipotesi – assai poco credibile – che l’aggettivo “normale” possa mai essere utilizzato per definire qualsivoglia attività a cui Bob Dylan si sia mai dedicato), ma a una delle imprese più folli e leggendarie di cui si sia mai imbarcato nel corso della sua carriera ormai ultra cinquantennale, ovvero la Rolling Thunder Revue, il debordante carrozzone con cui, arruolando un nutrito nucleo di musicisti di chiara fama – Joan Baez, Roger Mc Guinn, Ramblin’ Jack Elliott, il giovane T Bone Burnett, Joni Mitchell e via elencando – ed un contingente di umanità varia – basti citare il capo indiano di nome Rolling Thunder, imbarcato solo in virtù dell’incidentale omonimia – peregrinò per gli Stati Uniti – con uno sconfinamento nel vicino Canada – a metà degli anni Settanta.
Un’avventura intrapresa sulla scorta delle canzoni di Desirè – registrato prima della partenza del tour e pubblicato nell’intervallo tra le due parti in cui si articolò - e del sostegno prestato alla causa di Rubin ‘Hurricane’ Carter, pugile di un certo prestigio finito in carcere per un omicidio che non aveva commesso.
Più nel dettaglio, il libro narra della prima parte di quell’impresa culminata con l’esibizione al Madison Square Garden di New York, rimasta negli annali come The Night of the Hurricane, dell’8 dicembre 1975
Ecco: se riuscite ad immaginarvi tutto ciò, potreste avere un’idea almeno approssimativa e certamente riduttiva di quanto la lettura di “On the Road with Bob Dylan” (titolo rimasto nella sua versione originale anche nell’edizione italiana) di Larry “Ratso” Sloman, recentemente (e finalmente) tradotto e pubblicato da Minimum Fax, può riservarvi.
Edito originariamente nel 1978 e ristampato nel 2002 con l’aggiunta di una esilarante prefazione del jewish cowboy Kinky Friedman (fortunatamente conservata in quest’edizione italiana), il libro rappresenta una sorta di diario di quel leggendario tour secondo i dettami del cosiddetto gonzo journalism brevettato in quegli anni da Hunter S. Thompson, in cui la cronaca degli eventi - musicali, nel caso specifico - si sovrappone e si mescola con la vita quotidiana della carovana in viaggio tra una data e l’altra e le vicende personali del cronista, aggregato al tour in qualità di inviato della rivista Rolling Stone.
E così nelle pagine, in un affresco che conserva un’incredibile vitalità nonostante i quasi quarant’anni trascorsi, si susseguono aneddoti al limite dell’incredibile (uno su tutti: il reclutamento della violinista Scarlet Rivera, praticamente raccattata sul marciapiede dove si esibiva come musicista di strada e trasportata direttamente in studio per le sessions di Desirè), ritratti fulminanti (memorabile quello dell’energica signora Beatty Zimmermann, madre di Dylan, che nel corso di quell’incredibile baraonda, da brava nonna, accudiva i nipoti al seguito: anche le rockstar tengono famiglia, in fondo), battute lapidarie (“Non lo sapevo che era una giornalista, mi sembrava una persona normale”: autore Jesse Dylan, figlio di cotanto padre, nove anni all’epoca) e descrizioni appassionate, con l’occhio del fan più che del critico, dei concerti del tour.
Per gli appassionati di Dylan o, più in generale, di musica, il libro offre poi una prospettiva inedita su tanti protagonisti, diretti o indiretti, di quella scena, a partire da Sara Lownds, prima moglie dello stesso Dylan, inarrivabile musa ispiratrice della splendida Sad Eyed Lady of the Lowlands, ricondotta qui ad una dimensione assai più umana di giovane donna sposata ad una celebrità, alle prese con un’ingombrante marito, i figli, la suocera ed anche con lo shopping e con qualche problema di look.
E poi un’incredibilmente problematica e perennemente polemica Joni Mitchell, un Leonard Cohen che perfetto padrone di casa offre alla carovana in trasferta nella sua Montreal anche un paio di canzoni ancora inedite, un Mike Bloomfield che raggiunto al telefono traccia un ritratto assai critico del personaggio Dylan e un Mike Porco, proprietario del leggendario Gerde’s Folk City, che rievoca con commozione i primi passi newyorkesi del nostro eroe, nonché lo stesso Rubin ‘Hurricane’ Carter che irrompe sul proscenio a più riprese nel corso della narrazione, senza fare invero un gran figura, e Joan Baez che ripercorre a cuore aperto la sua tribolata relazione con Dylan.
Senza certo dimenticare Allen Ginsberg che dispensa perle di poetica saggezza, impassibile a fronte del caos generale che lo circonda e Robbie Robertson, leader della Band, che nel finale del libro analizza la pluriennale collaborazione tra il suo gruppo e Bob Dylan.
Ma, naturalmente, la figura dominante rimane quello dello stesso Dylan, onnipresente in ogni singola pagina del libro sia quando vi appare in prima persona, impegnato in lunghi dialoghi con l’autore nei quali spesso si esercita nella sua attitudine a celarsi dietro le parole e a dissimulare che ha da sempre contraddistinto la sua immagine pubblica, sia quando si ritrova al centro dei pensieri e delle parole dei vari personaggi di contorno.
E poi le peripezie del reporter, in perenne conflitto da un lato con il tour manager Lou Kemp perennemente (e inutilmente) impegnato a tenerlo a debita distanza da Dylan e dell’altro con la redazione di Rolling Stone – ed in particolare con Chet Filippo, firma di grande prestigio della rivista – che gli rimprovera costantemente l’inadeguatezza dei suoi articoli, colpevoli di trascurare gli aspetti economici del tour.
E sparsi tra le pagine, l’incredibile fauna umana che fa da contorno alla scena principale: fan terminali, groupie determinate, un barista di Lowell amico di gioventù di Jack Kerouac, prostitute ed altra più o meno stravagante umanità protagonista della vita notturna nelle diverse città tappa della Rolling Thunder Revue alla quale Larry Sloman si dedica con passione quantomeno pari a quella riservata a Bob Dylan e alla sua musica.
Il tutto mentre si gira un film – e numerose pagine sono specificamente dedicate alla descrizione delle cervellotiche riprese – che diventerà il tristemente famoso Renaldo & Clara, firmato dallo stesso Dylan, rimasto negli annali della cinematografia per la sua complessità (o, forse, più semplicemente per la sua congenita confusione) al limite dell’assoluta incomprensibilità, al punto da guadagnarsi, nel giudizio di alcuni critici, il non certo invidiabile titolo di “peggior film della storia del cinema”.
Insomma, non sarà il “Guerra e Pace del rock’n’roll”, come lo definì lo stesso Dylan, (spesso vocato all’iperbole, quando chiamato ad esprimere un giudizio), ma certamente un libro appassionante che fotografa in presa diretta un momento storico della musica popolare americana, senza mai scadere nel ritratto agiografico e dando rilievo anche alle numerose incongruenze e contraddizioni di quell’avventura e che restituisce al lettore – anche non necessariamente appassionato o esperto di musica - il sapore di un’epoca intera, in una ennesima rivisitazione del più classico cliché della letteratura angloamericana, ovvero la narrativa di viaggio frequentata da qualsiasi scrittore statunitense degno di tale definizione, dal padre fondatore Mark Twain ai giorni nostri.
Un’ultima annotazione, che certamente fa onore a Larry Sloman: la dedica iniziale – oltre che ai suoi genitori e a Lynn, suppongo sua compagna – al grande e purtroppo poco ricordato Phil Ochs, songwriter legato a Dylan da un rapporto assai conflittuale, che, in predicato di partecipare alla Rolling Thunder Revue, non venne arruolato in virtù dei problemi personali (alcool, in primo luogo) che lo affliggevano e che morì suicida nell’aprile del 1976, pochi mesi dopo le avventure narrate nel libro.
PS: come si diceva in apertura, un libro così necessita di un’adeguata e pertinente colonna sonora: oltre naturalmente a Desirè, la discografia ufficiale di Bob Dylan offre due reperti di quel tour, ovvero Hard Rain, album live pubblicato pressoché in tempo reale registrato però nella seconda parte del tour e non nelle date oggetto della narrazione, e soprattutto Live 1975, il quinto volume della Bootleg Series, con registrazioni della prima parte del tour, effettuate nelle date di Worcester, Boston, Cambridge e Montreal (e un ricco booklet con splendide foto e un lungo testo dello stesso Sloman).
Unico difetto, il fatto che Live 1975 comprenda solo canzoni eseguite da Dylan (ivi comprese quelle in coppia con Joan Baez) e non i pezzi che nel corso di quei concerti venivano eseguiti dagli altri componenti della carovana: per quelli è necessario andare a cercare nel vasto catalogo delle registrazioni pirata e a questo riguardo, con un minimo sforzo ed po’ di pazienza, la rete offre numerose opportunità, a partire dalla data iniziale di Plymouth (location tutt’altro che casuale, quale località di approdo dei Padri Pellegrini in arrivo dall’Inghilterra in uno degli eventi fondanti degli Stati Uniti d’America) del 31 ottobre 1975.