Emidio Greco IL CONSIGLIO D’EGITTO
2001 » RECENSIONE |
Con S. Orlando, T. Ragno, Renato Carpentieri
di Elena Cristina Musso
Non si può dire che Emidio Greco, scegliendo il testo di Leonardo Sciascia, abbia cercato di facilitarsi l’impresa. Già nel 1991 con il film “Una storia semplice” il regista aveva rivelato il suo interesse per l’opera dello straordinario scrittore siciliano. Con “Il Consiglio d’Egitto” riconferma questo suo interesse. Si tratta di un romanzo storico ambientato nella Sicilia di fine ‘700. Siamo in un’epoca di pieno fermento: le idee illuministe hanno tracciato la strada che porterà alla Rivoluzione francese. I privilegi nobiliari vengono messi in discussione dalle innovative idee di uguaglianza. Nell’isola il vicerè Caracciolo, con i suoi tentativi di riforma, suscita l’ira dell’aristocrazia che a tali privilegi non intende rinunziare. In questo contesto incontriamo la figura del frate Giuseppe Vella. E’ il dicembre del 1782 quando, grazie alle sua presunta conoscenza della lingua araba, il Vella viene chiamato dal vicerè per fare da interprete con l’ambasciatore del Marocco inaspettatamente sbarcato a Palermo a causa di una tempesta. Il frate, che conduce una vita assai modesta e anonima, si abitua presto agli agi della nobiltà con cui l’imprevisto evento lo mette a contatto. Escogita, così, uno stratagemma che lo metterà presto in luce in quel mondo che mai prima lo aveva considerato. Finge di tradurre un testo in lingua araba (il quale altro non è che una delle tante storie del Profeta) millantandolo per un fantomatico codice storico: Il Consiglio d’Egitto, appunto. Il testo, come insinua il Vella, restituirebbe al Regno la piena potestà dell’isola e priverebbe dei propri privilegi baronali la nobiltà. Il frate, che intanto verrà insignito del titolo di abate, diventa uno dei personaggi più in vista e temuti, per ovvie ragioni, dall’aristocrazia palermitana che fa di tutto per ingraziarselo. Alle vicende dell’abate si intrecciano quelle dell’avvocato Di Blasi a capo di una congiura giacobina per la quale sarà condannato alla pena capitale. Il racconto, sebbene dipinga una precisa epoca storica, rivela una straordinaria modernità e un’universalità comuni a molte delle opere di Sciascia. Il valore dell’opera trova il suo compiersi proprio nell’evidenziare uno dei paradossi della realtà siciliana: l’indolenza che, da sempre, l’isola dimostra nel recepire gli eventi storici che percepisce quasi come un’eco lontana, nell’incapacità di esserne sostanzialmente partecipe. Gli avvenimenti dell’epoca, infatti, assumono un valore ininfluente nei salotti nobiliari rispetto alla finzione escogitata dall’abate Vella, alla “Storia inventata”, cioè. Il film é assolutamente fedele al testo che ne diventa protagonista principale con l’espediente della voce narrante (affidato a Giancarlo Giannini) che ci permette di gustare brani del romanzo pregnanti di un’atmosfera, a tratti, poeticamente accostabile a pagine di manzoniana memoria.
Efficace l’interpretazione di Silvio Orlando nei panni dell’abate Vella: il poliedrico attore (ultimamente visto nell’insolita parte di cattivo, in “Luce dei miei occhi” di Giuseppe Piccioni e in quella di uno dei pazienti del Moretti psicanalista, ne “La stanza del figlio”) riesce a delineare i tratti del personaggio ancor più con le espressioni del volto che con la recitazione stessa. Sicuramente una conferma, questa, delle sue ormai collaudate qualità interpretative.
A impersonare l’avvocato Di Blasi é l’attore Tommaso Ragno (nel ’91 in “Chimera” di Pappi Corsicato) la cui recitazione risente di una certa impostazione troppo teatrale, a discapito della naturalezza.
Degne di nota le prove degli attori Antonio Catania, nella parte di Don Saverio Zarbo e Renato Carpentieri, in quella di monsignor Airoldi.
In definitiva, un film che può essere considerato un dignitoso omaggio a una delle più significative opere di Sciascia.